Meno violenza, più guerre!

scritto da Sanfedista il 14 ottobre 2010,22:18
Siamo in un Paese in fortissima crisi, quella economica è quella che personalmente preoccupa meno. Alle soglie dei 150 anni della disgraziatissima Unità – ora c'è e non la discutiamo – l'Italia s'imbastardisce per stagnazione di sangue. Odio parlare di cronaca, odio scriverne. Stavolta però mi è funzionale al discorso. Avetrana, Roma Anagnina, tassista di Milano. Nell'ordine: uno zio rapisce, strangola e violenta da morta una nipote minorenne, un ragazzo dopo piccole beghe alla biglietteria, in attesa di prendere un convoglio, piazza un diretto in pieno volto ad una donna, che stramazza a terra; un tassista meneghino mette sotto un cane, scende per soccorrerlo, trova proprietaria, fidanzato, amica, fidanzato dell'amica che lo crepano di botte. C'è anche altro. Tifosi Serbi, in slanci vitali rompono il sacro calcio. Come violentare nell'antica Roma una Vestale.

Il gesto serbo mi è piaciuto. Senso di gruppo, affratellamento violento, sovversione. Vittoria. Hanno fatto quello che volevano in un mondo in cui la libertà è talmente un concetto retorico che pur di non dar fastidio all'altro non saremo più in liberi. Non di fare qualcosa, non saremo più liberi e basta.

Tornando al principio il problema sono le violenze, le piccole, misere, squallide violenze succitate. Siamo in grado solo di produrre bieche violenze personali. Neanche mosse da chissà quali vendette, odi. Libidine nel primo caso, rabbia istantanea nel secondo, addirittura contenzioso stradale per il terzo.

Ma dove sono le smodate stragi? Le bombe per le ideologie? I mitragliatori? Anche le mafie ammazzano per la droga, prima ammazzavano per soldi e per l'onore, malato, distorto, ma comunque cercavano cause superiori per giustificare i delitti.

Se ci fosse una guerra, una grande guerra. Di trincea, di sfinimento, di bombe, di arti saltati, di fame, di latrine in comune, dove per "latrine in comune" intendo cessi condivisi, non cattivi amministratori locali, quelli li abbiamo, bene si riavrebbe il senso della misura. Ci si affezionerebbe alla politica e si apprezzerebbe nuovamente un valore come la vita e non la vita come quantificazione di produttività. Vogliamo guerre, vogliamo sangue che scorre a fiumi, vogliamo potature per nuovi rami. Oppure, se non ce la sentiamo non scandalizziamoci per questa violenza, non aggrottiamo le fronti, non lamentiamoci per il lavoro che manca, per i salari bassi, per i laureati a spasso. Perché meritiamo quello che abbiamo, perchè subiamo passivamente, taciamo, deleghiamo le scelte senza picchettare, senza controllare. Non protestiamo. Ben vengano i serbi che con slancio bergsoniano (dal filosofo Bergson) urlano la loro rabbia e raddrizzano il mondo che vivono alla loro volontà. Con buona pace degli altri spettatori, davvero tali.




Spigolature

scritto da Sanfedista il 14 dicembre 2009,16:16
Incombenze che ricorrono e che eviterei con piacere, ma devo adempierle per il mio trascorso e per i doveri di blasone. Ahimè.

Di Pietro è un villano, e ho sempre più fastidio nel riflettere che i soldi che verso allo Stato debbano essere impiegati anche per sostentare una persona così carente in classe e in civile senso del discorso.

Berlusconi il suo pugno lo ha ricevuto e qualcuno lo aveva previsto.

Dovremmo poi cercare di pretendere il merito nelle persone che ci amministrano, in ogni ordine e grado. Dai ministri della Repubblica ai vigili urbani, una categoria – ne sono sempre più persuaso – in cui ha confluito non la peggiore teppaglia, ma i maggiori dementi quivi ed ivi raccattati in giro per lo stivale.

Finisco con l’incombere del Natale. Quest’anno sono decisamente a buon punto, l’anno scorso di quest’ora ero a zero, ma oggi dopo la mozione di riduzione di numeri di regali tra familiari sono pur sempre a zero ma il lavoro che farò è meno gravoso. In realtà non sono proprio a zero un regalo importante è già preso. Ma è solo il primo passo verso la gloria natalizia.

Avverto, che questo non è il consueto messaggio di auguri natalizi che giungerà comunque puntuale nei giorni a venire.



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Do Re Sol Fa – BURLESCO – Si Re ﺟﺍﻧﺰﻱ

scritto da Sanfedista il 2 dicembre 2009,22:06

ABCDEFGH… In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Γένεσις

v’è forse inganno maggiore? Le parole e le note combinate tra loro creano infinite complicazioni, come le carte mescolate. E Dio, o chi ne fà le veci, rende il complicato solo complesso e tutto finisce per essere così difficile da leggere che la stanchezza negli occhi annebbia la voglia. Parigi con gli occhi di uno stanco è attraente come Isernia un giovedì pomeriggio.

Se ci riappropriassimo dello sforzo come valore Isernia in un pomeriggio di giovedì sarebbe attraente come Parigi. Forse è questo il messaggio di Dio e l’unica alternativa possibile all’infelicità dell’uomo.


Ma ora il crisma del silenzio ci avvolga,  che tutto cominci.



בראשית


la democrazia del semaforo

scritto da Sanfedista il 23 febbraio 2009,17:15

Particolare divertente. Oggi sono a Napoli -il mio peregrinare incessante tra la capitale e partenope è quasi finito, dal 9 comincio il mio nuovo lavoro in Roma- e camminando per la strada ho notato seguente scena:

Giovine sulla 20ina che apostrofava miserabilmente uomo sulla 50ina, per beghe legate al traffico regolato da luce semaforica. Il Giovine appellava l’uomo con ogni genere di improperie, umiliandolo innanzi a nutrita folla. L’Uomo -tassidermizzato- subiva passivamente la gragnuola di insulti che lo attingevano, non mostrando altro sentimento che non fosse inadeguatezza di reazione.

Bene dov’è il punto, mi direte voi.

L’uomo è celebratissimo und temutissimo chiarissimo professore di Diritto Costituzionale dell’Ateneo Federiciano, Ateneo nel quale mi fregio di aver conseguito laurea in Giurisprudenza e professore che mi esaminò qualche anno fa con tracotanza e spocchia senza pari.

Per qualche istante ho sognato di essere io quel giovane, non per un’insana rivincita, l’esame si concluse con un dignitoso 26, ma per il puro piacere di godere della tipica scena del pesce fuor d’acqua. Lui senza gli assistenti armigeri, senza l’alabarda, il voto sul libretto, senza lo scranno massimo s’accorgeva di come il suo potere, seppur sconfinato all’ateneo, naufragava sul rosso di un semaforo.

L’ho visto qualche istante cercare con gli occhi qualche usciere, magari passante, che lo cavasse via dall’impaccio. Nulla, solo un lavavetri divertito.

Io non so chi avesse ragione, ma il semaforo è una democrazia dell’urlo alla quale tutti devono adeguarsi, magari avrà pensato: "avessi avuto l’auto blu non sarebbe mai successo".

Ed ecco che mi spiego il piacere dell’utilizzo di quel veicolo: il poter esser dittatori anche ai semafori, che altrimenti sono spietata livella.

Nel prossimo post pubblico per la prima volta un mio scritto passato inerente l’esame che sostenni con il citato professore.

Gli uomini si servono delle parole solo per nascondere i loro pensieri

scritto da Sanfedista il 5 febbraio 2009,18:13

La S.V. è invitata all’hotel X di X, è stato selezionato per l’annuale seminario che si terrà sul tema della X. Non era un invito a soluzione matematica ho semplicemente omesso le cose non importanti.

Questo accadeva esattamente un anno fa. Partii qualche giorno dopo con un mio buon amico, anch’egli invitato. Faceva freddino, caricammo l’automobile e preparai un cd per il viaggio, ero felice davvero. Trascorsi tre giorni equamente suddivisi tra la noia seminaresca e la follia notturna, in un ambiente cameratesco che non vivevo dal viaggio di licenza liceale. Mangiammo bene davvero in quei giorni, bevemmo anche meglio, alla sera era d’obbligo il vestito ed io l’indossavo con piacere. Ho conosciuto in quel frangente persone prevalentemente squallide, ma il mio cellulare non taceva per un istante, ed io mi sentivo il centro prevalente di un piccolo universo.

La notte sgattaiolavo fuori la camera e con altri si cercava posti dove trascorrere il tempo fino all’alba. Una sera tornai ubriaco ma feci finta di nulla per poter guidare. Sapevo che quei giorni illuminati da una luce obliqua, fredda, avevano comunque qualcosa di accogliente. Sapevo che quei pomeriggi presto inghiottiti dal buio erano in qualche modo speciali.

Non vissi amori se questo è quello che può interessare, mi accorsi invece della bellezza della banalità, del cliché. Non volevo più tornare, amavo la malattia nella quale stavo vivendo. La malattia del sapore dolciastro della squallida fuga.

A casa mi aspettava un’occupazione per la quale non mostravo inclinazioni, affinità, una relazione che traballava tragicamente ed un futuro di cui non volevo occuparmi.

Oggi pomeriggio non anelo fughe, ma il mio telefono non squilla e questa forzata convalescenza -come sto iniziando a chiamarla- mi sta lentamente portando al distillato più puro che il nulla produce: la noia.

A breve incomincierò una nuova esperienza professionale, che sarà quella che mi terrà occupato per il resto della mia vita, ne sono molto felice, come sono felice di chi mi è accanto…oops…il cellulare ha squillato, dovrei forse cancellare tutto quello che ho scritto sino ad ora? No, perchè lì vi ho riposto i cattivi pensieri di un pomeriggio ed è bene che rimangano ichiodati alla pagina e poi Ils… n’emploient les paroles que pour déguiser leurs pensées.

mala tempora currunt, englaro tv

scritto da Sanfedista il 4 febbraio 2009,11:49

Ho proprio bisogno di una sigaretta. Ne ho bisogno perchè è meglio avere alcune dita impegnate mentre si scrive, così si ragiona meglio.

Eluana Englaro morirà di qui a qualche giorno, premetto che io sono contrario, lo sono perchè l’idea che si lasci morire qualcuno di fame e sete mi disgusta, mi disgusta pure il fatto che si dica che non soffrirà, chi lo sa? Sarebbe meglio, nel caso in cui non se ne potrebbe far senza, una iniezione, magari tripla dose di morfina e il cuore dolcemente si spegne…ma le leggi latitano e comunque la coscienza è personale.

Il punto di oggi è il reality Englaro,  l’ambulanza che corre nella notte, la faccia del padre, i servizi con le sue foto, i bollettini orari di dov’è di quando è arrivata, della clinica dove morirà. La fame morbosa di notizie non sempre deve essere assecondata ed il giornalismo dovrebbe avere alle volte il pudore del silenzio, invece i nastri girano, i giornalisti si truccano, i fari si accendono ed Eluana finisce per essere inconsapevole protagonista di un necrofago grande fratello.

No hay banda, silencio…un tragico playback con cui quasi si attribuiscono dichiarazioni ad una persona in coma da 17 anni. Abbiamo passato, ancora una volta, il segno.

social card

scritto da Sanfedista il 2 febbraio 2009,16:56

…supermarket romano…

Il sanfedista è in fila alla cassa con abbondanti scorte di libagioni voluttuose: cioccolate di ogni sorta, patatine, salse varie, patè e delizioso vino. E’preceduto da anziano signore che al momento del pagamento si incurva su se stesso e come vergognato armeggia con il portafogli, fà cenno alla cassiera e chiede dove bisogna firmare "sa io non ho mai avuto una carta di credito", poi passa questo lembo di plastica rovesciato, la cassiera intuisce, la striscia e gliela rende nascosta da una busta, il vecchietto prende un portadocumenti in pelle con su scritto "Socio Touring Club 1977" e ripone  la tessera dentro, facendo ben attenzione che nessuno vedesse. Poi mortificato imbusta e va via aggiustandosi gli occhiali.

Trattavasi di social card, ovvero la certificazione statale di povertà.

Non dico che dare 40 euro in più al mese sia un errore, chi potrebbe dirlo? Dico solo che ad una vasta pletora di strapagati rappresentanti popolari poteva venir alla mente idea migliore che una carta di credito anonima, invero riconoscibilissima, che sottoponga il malcapitato ad uno strazio del genere.

La consolazione è che dalle buste del vecchietto facevano capolino due bei fiaschi di vino, di quello dozzinale badate, ma l’ebrezza consolatoria fortunatamente non ha etichetta, a differenza della povertà.

(in foto la social card; il servizio è offerto dalla mastercard, per tutto il resto c’è il furto, evidentemente)

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dilettanti

scritto da Sanfedista il 12 gennaio 2009,18:04

Lo so che l’orchestra spettacolo del maestro "Lo Zupone" forse non è il massimo per la festa di diciott’anni, ma che dovevo fare, la mazurca è un evergreen.

La scena poi del suo primo giorno all’università a me pareva così autentica: io che lo accompagnavo fino in aula e messogli in mano il cestino con il prosciutto -senza grasso- e la bottiglietta d’acqua con il nuovo tappo salvagoccia lo abbracciavo e gli dicevo che era il primo giorno nel mondo dei grandi. Gli dicevo pure che l’importante nella vita è l’impegno e che doveva stare attento a mettersi sempre con i più studiosi, lasciando perdere i bricconi delle ultime file. "Quelli lì non andranno da nessuna parte e finiranno per drogarsi".

La macchina che gli comprai poi era un sogno, lui voleva la punto, ma io non mi fido degli italiani e poi mi ricordo ancora la vecchia Uno quanto fumo faceva, gli presi una skoda usata, il modello prima del restyling, con i comandi al volante perchè il proprietario di prima era un disabile.

Poi quando portò a casa quella brunetta io pensai di far cosa grata entrando in camera con pasticcini e cocacola e ricordandogli quanto fossero pericolose le malattie sessualmente trasmissibili e inoltre quanto fosse facile che un soggetto altamente inesperto, come mio figlio, senza giuste precauzioni sarebbe facilmente potuto diventare padre.

Volevo fargli capire che omologarsi non ha senso perchè bisogna coltivare i propri talenti ed essere fuori moda può anche significare lanciare una nuova moda…

Le continue battaglie, poi, per le vacanze sane, con tanto riposo e sveglia presto. Ma lui proprio non mi apprezzava, neanche quando per la sua laurea invitai tutti i parenti -gli unici su cui puoi contare-  e come regalo gli presi l’etilometro.

Dilettanti! Mettono al mondo i figli e poi se li fanno portare via dal sesso, dalla droga e dalla velocità.

Io no, non finirò in questo modo, mio figlio starà sempre con me, anche ora che si è impiccato lo tengo in casa, non l’ho detto a nessuno, neanche del biglietto che mi ha lasciato:"La libertà implica sempre un po’di sofferenza".

Dilettanti.

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Ruvidezze, come sono.

scritto da Sanfedista il 4 gennaio 2009,16:54

In realtà potrei forse essere un reazionario clericale, forse sono un po’categorico, alle volte avventato. Tiro tardi, mi piace compiacermi delle situazioni malinconiche che vivo, edonista di sicuro, provocatore quando ne ho l’energia, altrimenti conformista per pigrizia. Riesco a fare sempre tre passi indietro, però, per guardare il mondo da prospettive diverse, cerco sempre di comprendere profondamente gli altri e indulgo su me stesso quando è necessario.

In amore non so, credo di dare molto, penso che quando sono innamorato lo sono così tanto da apparire tollerante fino all’indifferenza.  Tollero perchè amo e credo che solo con la libertà più ampia si possa compiere una scelta vincolante.

E’ come trovare le chiavi della prigione, entrare e dare doppia mandata; questo è l’amore per me.

Sono curioso, cerco sempre buone letture, ma non disdegno quelle mediocri, leggo dai significati delle bandiere del mondo ai romanzi di Saul Bellow o John Dos Passos.

Amo nelle canzoni alcune piccole parti, mi innamoro di alcune sfaccettature, magari anche dell’intonazione di una sola nota, tendo a riascoltarle anche per un pomeriggio intero.

Pigro al punto di stancarmi nel vedere gli altri affaccendati.

Disperato cultore di aforismi, del Napoli Calcio, di Napoli, della mia donna, che è la mia musa innanzitutto.

La velocità mi rilassa, credo che più si accelera e più il confine tra lo scopo ed il mezzo si sublimi, fino a cristallizarsi in un attimo di assoluto in cui la velocità è sinonimo di onnipotenza divina, diventa la capacità di dominare il tempo, di gustarlo.

Così anche la lentezza. Raramente indosso orologi, il mio rapporto col tempo è una comunione forzata, mi ammansisco alle lancette solo quando non potrei fare altrimenti. Ma è sempre un tempo imposto dall’esterno, o per motivi di lavoro o per armonica convivenza con un altro essere umano. Fosse per me il tempo sarebbe solo  una frusta, o uno scrigno di dolciumi da cui trarre ricordi per bearsi. Passati dolori o trascorse gioie hanno lo stesso gusto perchè me ne servo quando ne ho bisogno. Li scelgo attentamente.

Vivo con energia per riempire il serbatoio di rimembranze e per poter fantasticare sul futuro, di cui non parlo mai qui, perchè il sogno nel futuro è la sola cosa davvero personale che abbiamo, il presente ed il passato per quanto celato sono comunque di dominio abbastanza pubblico, già il fatto che li abbia già affrontati li degrada a porzioni di vita minori.

Mi si dice che non si riesce mai a possedermi nella mia totalità, c’è sempre una scheggia che sfugge e non fa tornare i conti. Lo vivo come un insulto che qualifica chi lo fa. Credo che per contenere una persona più che prenderne il passato bisogna rubarne un po’ di futuro, perchè solo sul futuro si può avere un dominio, quindi è condividendo i progetti per l’avvenire che l’armonia si compie, il passato di ognuno è di mole così ampia che nessuno mai potrà spiegare tutti i sassi che hanno composto la strada.

Sto imparando molto in questo spazio della mia vita e lo devo anche a chi mi sta intorno ed a chi mi ama. Riconosco sempre i meriti di chi mi circonda. Ed ora chi ho accanto ha meriti enormi. Vive con la lievezza di un raggio di luna, trema ed ha la fragilità del cristallo, ha occhi che balenano e una parte scura nella quale rifugiarsi. Sa sempre dove è nascosto il segreto della vita e delle cose che la compongono, è schietta e volenterosa nell’affrontare i giorni. E’ legata a me perlomeno quanto io sono legato a lei. E più le nostre visioni si allontanano più i nodi che ci legano si stringono; mi dimentico spesso se quello che pronuncia sia stato io a trasmetterglielo oppure mi suona familiare perchè è stato lei ad insegnarmelo.

Ruvidezze che danno spessore ad un’esistenza tra tante, ma unica come tutte.

Rileggo ed il presupposto del titolo che recitava egotico "Come sono", andrebbe mutato in "Amore ti spiego un po’ come sono", ma non lo cambierò, perchè tu tanto lo sai già…ruvidezze…

frase del giorno

scritto da Sanfedista il 29 dicembre 2008,14:28

La felicità è l’equilibrio tra il come siamo ed il come vorremmo. Tralasciando il come non siamo ed il come siamo stati. Il come saremo non è null’altro che un sogno al quale cerchiamo di dare forma, sperando di non cadere nel come avremmo voluto. A regolare queste tortuose strade non v’è altro che la volontà e l’adattamento a quello che chi vorrà per noi ci concederà.

Non v’è misura nella vita che viviamo, tutto ciò che può essere misurato non rientra in quelle caratteristiche che rendono l’uomo diverso dagli altri fenomeni naturali. Nulla di quello che desideriamo, speriamo e vogliamo può essere soggetto a valutazione matematica infallibile. La razionalità è solo un criterio di scelta e comunque non garantisce risultati certi. La volontà è il mezzo unico per il tentativo, cosa sia a muoverla non rileva per la nostra vita né per il conseguimento nei nostri scopi.

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