Magari a fumare un po’meno riuscirei anche a non farmi pulsare la vena della mano. Ma tant’è. Devo staccare i pensieri e lasciarmi andare dolcemente all’immagine di come sarei altrove. Se fossi in India mi piacerebbe essere una mucca, piazzarmi davanti agli autocarri e sorridere ruminando della rassegnazione altrui e dei clacson. Se fossi in America forse sarei a Las Vegas con occhi vacui e bocca socchiusa a sperare nel rosso. Se fossi in Germania starei certamente dormendo, domani si lavora. Se fossi in Tunisia mi piacerebbe essere un fuoco scoppiettante sulla spiaggia o una casa colonica a guardia di un palmeto. In Grecia una bottiglia di Ouzo che tiene sveglio qualcuno preoccupato. In Australia un ragazzino all’ultimo giorno di scuola che fa progetti per l’estate, quei fantastici progetti semplicissimi con aspirazioni banali e facilmente attuabili. Se fossi in Russia sarei malinconico, Dio quanto lo sarei, sarei malinconico e bianco come la neve della Taiga…sarei malinconico come ora che tutto mi sembra velato d’ironia consapevole. Un mezzo sorriso bianco e storto che si confonde con la neve, di chi ci è quasi arrivato ma alla fine ha mollato e non si saprà mai il perché. “Quello lì?” “Quello lì c’era quasi ma poi rinunciò, nessuno ha mai saputo il perché ed obiettivamente non m’interessa nemmeno”.
questo è quello che succede quando in una giornata davvero stupida grigia e che non sarebbe mai dovuta essere getti per la disperazione la testa sulla tastiera.
Riusciamo sempre ad assuefarci alla mediocrità. Diamo per scontato che i giorni debbano necessariamente seguirsi come stanze “enfilade”, senza però la visione sfarzosa dell’architettura barocca. Superiamo le ore passandoci in mezzo, una teoria ininterrotta di domino. Ed intanto il tempo trascorre. Spendiamo le nostre energie in progetti in cui non crediamo e andiamo in apnea per svariati motivi contando i minuti che ci distanziano dal riprendere il respiro. Viviamo giorni con gli occhi serrati, come i bambini durante i temporali e li riapriamo nei week end. Non apparteniamo a nessuna ideologia, rischiamo di non appartenere più a nessun tempo. Io patisco il peso della scarsa cultura di chi mi dirige, del “capufficio” se ancora esistessero contratti del genere…
Quasi sempre governa – dal parlamento all’ultimo degli impieghi – chi in silenzio obbedisce e risolve velocemente le richieste, in maniera rapida, asettica, proattiva. Prevenire rapidamente i problemi è la via preferibile in tutto eppure gran parte della nostra civiltà si è costituita speculando sulle problematiche, inventandone anche di nuove per un puro esercizio filosofico. Era la palestra dell’ingegno. Si allenava il pensiero nella risoluzione dei problemi, si discuteva e ci si osservava nel farlo. Konrad Lorentz diceva che “la vita cerca problemi e l’offerta di problemi è significativa per il successo; una mancanza di problemi può provocare una stagnazione”, ma anche Abelardo “il porsi costantemente dei problemi sta alla base della saggezza. Poiché attraverso il dubbio siamo portati all’indagine, e attraverso l’indagine arriviamo alla verità.” Ma anche l’antico motto che diceva che un problema è solo un’opportunità che ti concede la vita di fare meglio.
I gretti detentori del potere non desiderano i problemi, li temono perché vedono nel problema l’errore e nell’errore il fallimento. Ma io ritengo che il fallimento sia già vivere una vita che annulla le potenzialità dell’intelletto, che crea modelli da seguire per situazioni standard, che limita la comunicazione a moduli di “domande e risposte”. E’ la mentalità della piccola borghesia. Puoi amministrare un capitale, guidare una Aston Martin, ma la puzza della piccola borghesia non te la lavi via. L’esser cauti, o peggio l’esser fintamente intrepidi, il guardare attentamente, il giustificare necessariamente un documento, come se l’irregolarità fosse un segno di disordine diabolico sono mali letali per il progresso della razza. L’essere piccoli borghesi è ben peggio che essere poveri. Il povero s’industria, il povero se delinque lo fa fisicamente, in prima persona, sentendo sotto le falangi immediatamente la carta dei soldi. Il povero non evade, semplicemente non dichiara, e soprattutto truffa senza il monitor davanti agli occhi. Il povero, ruba, zappa, pialla, salda, trasporta, vende piccoli oggetti al dettaglio, lava, stira, beve e picchia. Il piccolo borghese non fa quasi nulla di tutto ciò e se lo fa lo giustifica come hobby, come lavoretto, come disturbo psicologico cercando comunque di prenderne le distanze. Il piccolo borghese fa sempre la cosa più intelligente e sempre la spesa mirata, provando un brivido quando compra qualcosa di non previsto fosse anche un formaggio non in offerta. Io provo un brivido di noia quando mi rendo conto di aver comprato solo cose utili.
Dalla piccola borghesia è difficilissimo affrancarsi. E’ un’operazione disperata, bisogna accumulare diottrie sui libri, ammirare arte sconosciuta e dire no di tanto in tanto a chi rappresenta l’autorità. Il piccolo borghese deve arrivare un giorno a rendersi conto di quanto la sua esistenza sia mediocre, sbagliata e priva di qualsivoglia valore. Questo è il primo passo. Non sono così ingenuo da pensare che sia possibile un mondo di persone che sterzano all’ultimo, con stridore di gomme e sobbalzi in abitacolo, ma guardatevi state davvero iniziando a camminare tutti con climatizzatore acceso, cambio automatico e controllo della velocità.
Sono risalito oggi da Napoli. Ho trascorso qualche giorno fuori programma tra la mia gente, splendida e intensa come sempre.
In treno osservavo il cielo. Nero, gravido, densissimo, pronto a scoppiare; come se da un secondo all’altro dovesse squarciarsi ed urlare, raccontando, chissà quale verità al mondo. Rompendo una cataratta, un groppo che gli impediva di piovere [piangere].
ai cercatori d’oro, ai funamboli senza filo e senza rete, ai capitani di lungo sorso, fenomeni da bar, fenomeni da baraccone, a chi pulisce poi il baraccone, ai maldestri ricettatori di gioielli rubati, ai cantanti senza voce e agli scrittori senza parole, a l’amica di mia nonna che mi offriva il Vov quando avevo 5 anni, a chi ha le sigarette ma non trova l’accendino, il contrario, ai contrari in genere, quelli per partito preso, ai cattivi partiti, ai pescatori di frodo, ai maniaci sentimentali, agli indecisi per vocazione, ai matematici, ai miei figli futuri per i quali scriverò racconti sbalorditivi, a chi si attarda su cose inutili poi esce e piove, ai vedovi – categoria in via d’estinzione-, a chi lotta per i panda ma poi sti panda che hanno mai fatto per loro, a chi ha gratitudine, ma sopratutto agli ingrati, ai bugiardi, quelli impenitenti, che non vogliono assoluzione, ai guidatori di vita in stato di ebbrezza, ai sigg. Martini & Rossi, inventori della notissima bevanda.
agli architetti che il giorno dell’inaugurazione comunque non gli tornano i conti, ai casellanti, alle voci della viacard, ai bip biiiip del telepass, a chi colleziona insuccessi in maniera ostinata, a chi brevetta deodoranti per ambienti, a chi ferra i cavalli, a chi vede un po’ di arte anche in una metro che fa ritardo, a chi non prende la metro perchè tanto prima o poi salta tutto, a chi è davvero coerente con gli altri e meno con se stesso, ai radicali con il prossimo ed indulgenti nei propri confronti, a chi inavvertitamente schiaccia il maiuscolo scrive le cose più belle della propria vita e poi cancella tutto non riuscendo poi a ripetere il miracolo, a chi non sapeva che c’era shift f3 per convertire tutto in minuscolo, a chi scrive in maiuscolo e poi non cancella, si capirà meglio, a chi è innamorato, a chi dice che è solo chimica, agli oltranzisti polemici, a chi non si accetta e poi un giorno filma il bigfoot, a chi ha idee fantastiche ma non riesce a descriverle, a chi prima o poi tanto doveva succedere, a chi imputa al tempo le soluzioni, ai catalogatori di nuvole, a chi a settant’anni scopre una passione, a chi dice a venti che ne ha abbastanza, al barista che con soddisfazione sa che è l’ultimo a chiudere in città, a chi guida i sostitutivi, alle riserve che in silenzio aspettano, a chi non aspetta e fa su un casino, a chi bacia quando non dovrebbe poi lei si gira e l’incanto si rompe, a lei che si gira, a chi aspetta con ansia il primo bacio, a chi il secondo, a chi il terzo e il quarto e così via…
a chi mette 4 puntini sospensivi, buonanotte ai romantici che parlano di luna come se fosse altro che un satellite della terra, a chi è lento anche nell’addormentarsi, a chi ragiona, scrive e strappa, a chi imbianca strutture portanti dei ponti in bianco, a chi attraversando un passaggio a livello pensa sempre che il treno sia li li per sbucare e la sbarra sia guasta, a chi vede 5 volte le previsioni del tempo e poi ne parla in ascensore, alle zanzare mie fedeli compagne, ai ragni acerrimi nemici delle zanzare e quindi miei, a chi mi vuole bene, a chi pensa che il mondo senza di me sarebbe un luogo comunque diverso, a me, a chi vendeva gli aquiloni sulla strada per Fondi, a chi si droga e sciupa la condizione senza scrivere nemmeno un rigo, agli sciatti, a chi si impegna nel confezionare con cura i pacchetti, a chi cerca di fregare il prossimo con tutto se stesso e ci riesce, buonanotte ai navigatori, ai poeti e ai santi che pregano per tutti noi…shhh… ‘notte
Tutto ciò che ha a che fare con regole o regolamenti è per definizione noioso. Pur amando fortemente la noia ritengo che ci siano maniere più divertenti per procurarsela. Il regolamento condominiale non ha mai divertito nessuno. Le regole del bon ton sono l’opposto dello svago. Regolare è un lavoro triste, perchè ti obbliga a vagliare profondamente e a conoscere tutte le cose divertenti per poi proibirle.
I patti, i trattati, come affermava il Cancelliere tedesco Bethmann-Hollweg, sono pezzi di carta. Pur nel rispetto di tutti gli equilibri mentali personali ed altrui, io sono tendenzialmente un futurista. Wildiano. So ovviamente autoregolarmi, riesco a capire quando devo staccare, spesso coincide quando lo voglio, però la mia vita non accetterà mai la positività totale delle regole. Prendere o lasciare.
Dalla finestra le bandiere della Colombo sventolano, il telefono alla mia sinistra continua a squillare inascoltato. Che ti squilli? E mi rassereno un po’ accarezzando qualche pensiero. Mi brucia lo stomaco ma questa è consolidata prassi. Fumo troppo, mangio pochissimo. Sarebbe una vita sanissima se non fumassi troppo. Berrò una birra a casa rigorosamente dalla bottiglia, sono uomo e posso farlo. In realtà sono un Uomo e posso fare tutto.
Come dissi una volta, se la mela fosse caduta da sola per l’autunno avremmo adorato il vento. Invece ora adoriamo l’uomo, con i suoi limiti, le sue complessità, i suoi errori, le sue costrizioni, la sua imperfezione, le sue forze e debolezze. Non è tutto però così fantastico, non è tutto così sbalorditivo sempre?
Nella vita rimaniamo a bocca aperta stupiti per come sia potuto succedere, ma tanto è già successo, dobbiamo allora solo chiudere gli occhi e…e questo non lo so!
Prima mattinata insolita. Alle 8.00 avevo un appuntamento in Via Barberini, credo davvero utile, molto utile anzi. Alle 8.30 ero in Taxi per raggiungere il lavoro all’EUR- Il tassista dopo un po’ mi fa con tipica voce omossessuale da stereotipo, v. “il vizietto”, “Io la ho già accompagnata, non è la prima volta che ci vediamo”, si mette male io gli faccio “ah non ricordo, per che tragitto?”, lui risponde pronto “Via Bixio – Eur”, bingo! e aggiunge “un bel ragazzo così mica lo scordo”. Sorrido e non rispondo. Passato il primo sconforto per il complimento inatteso alla fine me ne compiaccio. Stamattina sono davvero bello, abbronzato, magro, con un paio di pantaloni beige e una camicia azzurra. Il mondo è decisamente mio.
Quanto è utile il silenzio? Se fossimo fatti per il silenzio l’essere muti non sarebbe un handicap. Silenzio è decisamente la parola della settimana. Un po’ di sano silenzio quanto fa bene? Malissimo, secondo me. Ma non ho ancora il potere assoluto per far parlare i muti e chi non vuole.
Però ripensandoci, alla fine le parole non sempre sono utili; in assenza di esse, fioriscono comunque i rami, si muovono comunque le maree, una nube rabbuia per un istante il cielo che poi di nuovo abbacina gli occhi. Ed allora forse davvero c’è un po’ d’oro nel silenzio, che magifica i pensieri ed accompagna ogni fantasia fino alla realtà: con l’autoconvincimento dato dall’assenza delle risposte udibili, reali. Col silenzio la mente è l’unica nostra interlocutrice e tende quindi a darci pareri mirabili: muta i pensieri in ricordi immutabili, dipinge i difetti degli altri in virtù che ci mancano e ammanta l’intera materia coperta da silenzio in qualcosa di magico e proibito.
La magia non passa attraverso le formule ma secondo il silenzio, che è l’invisibile mano che incastra una spada nella roccia, addormenta una principessa o maledice un bacio. Con il silenzio tutto è possibile, tutto è nostro, tutto è risolto. Ma tutto è inesorabilmente finto, immoto, irrisolto.
No, non è un outing. E che Mary Poppins è di fatto l’emblema della razionalità a tutti i costi. Mary Poppins ha un inizio e una fine. Si sa che al prossimo vento dell’est andrà via. Badate, dopo aver incasinato parecchie vite. I bambini sono ora abituati a girare le campagne inglesi su cavalli da giostra parlando con gli animali da cortile. Ma ha incasinato pure la vita di Bert, ovviamente. Bert è un maledetto romantico, decisamente irrazionale, una sorta di Baudelaire per bambini. Innamorato chiaramente di Mary se ne frega di sovvertire l’ordine naturale delle cose. Basti vedere la struggente dichiarazione d’amore che segue in video, a cui la “razionalissima Poppins” cerca di portare tutto a ragione con frasi che sminuiscono la portata delle sue affermazioni. “Via Bert, niente pazzie per favor” oppure “oh andiamo”, “sei proprio svitato”, e giù di lì. Mary non vuole perdere il controllo.
Perchè? Ci ha messo tanto ad essere padrona di se stessa ed ora semplicemente non vuole rinunciarvi? Non vuole rinunciare alla vita come la voleva? Forse semplicemente non gli piace Bert per quel senso di irrazionalità che lo contraddistingue. O forse la vita dai Banks gli piace e non vuole lasciarla per un salto nel buio con uno spazzacamino. Troppe domande a cui solo Mary potrebbe rispondere, ma tanto si sa che tacerà e volerà via. E i bambini cosa imparano? Che Bert è un folle mattacchione inconcludente, senza un lavoro stabile, anzi con un lavoro poco dignitoso come lo spazzacamino? Potreste dire che il film funziona proprio perchè ci sono Mary e Bert, potrei rispondervi di sì ed è forse questa la vera risposta.
Il sanfedista nonostante il blasone è costretto a prendere i mezzi pubblici. Ogni tanto l’intervalla a taxi, come per interrompere una terapia e svuotare la misura.
Il 714 è un carnevale. Una roulette russa. Una terza classe del Titanic appena sbarcata nel suk di Tunisi. E’ un posto splendido. I mezzi però sono vetusti, traballanti, rumorosi e si rompono. Superare la circonvallazione ostiense, venendo dalla Cristoforo Colombo, è di fatto come uscire dalle colonne d’Ercole, se prima il percorso era sicuro, dopo, il mezzo logoro dai chilometri macinati dal capolinea del basso EUR, inizia a perdere inevitabilmente i colpi. Alle volte ce la fa, a fatica chiude e apre un paio di volte le porte, come per incamerare più aria o darsi coraggio e riparte. Oggi ha tirato il suo ultimo rantolo meccanico esattamente sopra le terme di Caracalla. Ore 18.54. Per me l’uscita dall’ufficio alle 18 è un diritto inalienabile. Oggi a causa di lavori inutili ed avvilenti per chi come me ha grandi capacità, trattavasi di redigere lettera di ringraziamento a politici da parte del mio AD, sono dovuto permanere di più alla scrivania.
Sceso con la velocità di una lucertola mi sono visto sfilare un 714 davanti agli occhi. Ho preso il successivo erodendo ben 12 minuti al mio tempo. Preziosissimo.
Il mezzo sin da subito non dava grandi garanzie. Chi li usa spesso dai primi metri riesce a distinguere se il bus ce la farà o no. Il presentimento era nefasto. Le marce ingranavano male ed ogni tanto si spegneva e riaccendeva l’obliteratrice, pessimo segno.
Dicevamo, per tirarla breve, che superata la fermata di circonvallazione ostiense, che divide i cauti dagli audaci, il pulmann si pianta. Fermo, secco, inerme come un pezzo di Lego.
Si aprono le porte scendono tutti e colgo bestemmie in tutte le lingue, perchè è il tono che fa la bestemmia. Subito dietro un 671, per me assolutamente inutile, che però raccoglie gran parte dei passeggeri naufragati diretti magari alla metro Re di Roma.
Rimaniamo in 9. Un sacerdote, due studenti, extracomunitari vari, un professionista ed un osservatore. Io.
Ci saranno stati 20 gradi, un sole obliquo che scompariva lento dietro il colle. Un po’ di vento che brividiva leggermente i capelli. Un fruscio di auto di passaggio ordinato ed un silenzio estivo. Il primo silenzio estivo dell’anno. Ho sorriso e con un occhio ho guardato la circonvallazione ostiense, con l’altro mi sono spinto immaginariamente fino a Porta Metronia. Ho guardato di nuovo il sole all’occidente che s’intravedeva ormai tra le fronde delle piante esotiche di un vivaio che fa angolo e mi sono sentito felice. Una felicità piena, senza invidia per nessun altro.
Una felicità completa. Sono stato felice di essere felice di innamorarmi ancora delle piccole felicità che la vita ti nasconde sotto minutissime pieghe. Quelle felicità che ti danno la consapevolezza che nulla è davvero mai perduto, che tutto si può ricostruire, che non esistono obblighi, che noi siamo padroni della nostra vita perché noi respiriamo con i nostri polmoni e se i programmi erano diversi la vità prima o poi cambierà corso e si adeguerà alle nostre scelte. Un 714 si romperà ovunque nel mondo e qualcuno si risintonizzerà su se stesso in maniera imprevista.
Cinico Giurista e Critico Letterario su un quotidiano. Felice guidatore di una automobile cabriolet, amante del teatro e del cinema, di Gozzano e Marinetti. Amante di Se stesso. Informatore sofisticato per lettori privilegiati.
odi et amo
Odio : La volgarità
Amo : Sigarette francesi, gauloises.
Accendere le stesse con un accendino di metallo o con un fiammifero, adoro il rumore del fiammifero e il suo profumo.
Salmone scozzese, lo preferisco molto al norvegese.
Whiskey irlandese di marca Jameson.
Sigari di dimensioni “petit corona” marca Montecristo.
Ascoltare musica brasiliana.
Luci soffuse e penombra per riflettere di sera.
Non abbassare mai le persiane andando a dormire, amo risvegliarmi col sole.
Collezionare piccole cose di cattivo gusto, trarne la bellezza.
La velocità, le automobili inglesi, o le classiche sportive italiane, comunque automobili che mi diano risposta pronta nel momento in cui pigio l’acceleratore.
Sentire vecchie canzoni italiane e i Queen.
Amo anche la musica trash.
Indossare la cravatta, il cappotto lungo o un pullover a collo alto.
Amo l’inverno, ma da un po’ sto iniziando ad apprezzare anche l’estate.
Amo le suonerie dei cellulari tradizionali.
Guanti di nappa nera, con cachemire all’interno.
Ascoltare musica in auto e viaggiare di notte.
Un buon vino rosso siciliano.
Il panettone con l’uvetta e senza canditi.
Mi piace riflettere e osservare gli uomini.
Amo le donne che parlano a bassa voce.
Amo le donne che hanno qualcosa da dire.
Il sassofono ed il piano sono i miei strumenti preferiti, mi piace Chopin.
Non credo nella democrazia.
Amo il decadentismo e il futurismo.
Amo essere confuso.
Preferisco i soggetti alle nature morte.
Il latte intero.
L’acqua e le fontane.
Bere alle fontanelle.
Leggere giornali non schierati politicamente.
le persone dolci e propense all’ascoltare.
Il gelato al pistacchio della gelateria “Otranto”.
Il motorino in città, anche con la pioggia.
La pioggia.
Le parole francesi, tipo “boudoir”.
David Lynch, Kubrick.
Un buon film al cinema.
La parmigiana di melanzane.
Le ostriche al “grand caffe le cappucin”a Parigi.
Il lenzuolo nuovo dopo la doccia.
I massaggi.
Il papillon ben annodato alla prima del S.Carlo.
Affondare i piedi nella sabbia tiepida.
Una doccia dopo il mare.
Le persone che ti guardano negli occhi quando ti parlano.
Muovere la mano in maniera mai brusca.
Andare a letto quando tutti sono gia a letto.
Fare scali tecnici mentre si vola.
Affondare nelle poltrone della buisness class.
Lo skyline di Pudong visto dal bund di Shanghai.
Las Vegas a mezzanotte mentre la fontana del Bellagio esplode con la musica di Gene Kelly.
Il caldo secco della Savana in Tanzania, la polvere che ti sporca e la piscina del Plantation Lodge che ti aspetta a mezz'ora di Jeep.
Concedersi un riposino pomeridiano estivo in Hyde Park a Londra.
Il cielo della Scozia sempre così imprevedibile.
Un tramonto su ponte Carlo a Praga.
Il corno d'oro di Istanbul, all'alba alle 6.00, ma visto dal mare.
Amsterdam e la sua leggerezza, Barcellona e la sua lievezza.
Il suk di Marrakech, dove sei sicuro di aver fatto l'affare della tua vita ma poi vai in Tunisia e ti senti un idiota, arrivi in Egitto e pensi che non ti è andata poi così male.
Il Sahara, maledetto...
Il golfo di Napoli al tramonto, così conosciuto ma così tremendamente inatteso.
Un’uscita in barca nell’Auraki Goulf ad Auckland in Nuova Zelanda.
Aggiustare i capelli sopra l’orecchio alla ragazza a cui voglio bene.
Un bicchiere di mirto sul balcone quando tira vento e il tempo minaccia pioggia.
Un cappello a falde larghe.
La camicia sempre e comunque, anche sul costume da bagno, bianca, azzurra oppure a righine. D'obbligo le iniziali.
La mia coscienza : Fiera
La mia sorte : comunque certa