l’imbarco
Il Silver Fern era un cargo porta rinfusa di categoria cape-size. A differenza delle panamax, che per la loro stazza passano il canale omonimo, la Silver Fern era costretta a doppiare Capo Horn quando dall’Atlantico doveva fare rotta al Pacifico. C’è una vecchia usanza; quando una nave passa Capo Horn, tormentato quasi sempre da mare in burrasca, il faro cileno che presidia lo stretto telegramma alla nave le congratulazioni e gli auguri di buon proseguimento della navigazione. Il fanale è chiamato dai marinai “Faro alla fine del mondo”, di qui la novella di Verne. Pensò a tutte queste cose, quando stringendo in tasca la lettera, salì sulla nave per il suo servizio volontario annuale.
I passi erano spinti da un pensiero che aveva la forza di trenta braccia, un pensiero così assoluto che gli fece tremare la mano spegnendo il cerino per la sigaretta. Ne accese un altro, diede un rapido sguardo all’anonimo porto di Praia da Vitòria e si sentì per un istante sollevato. Dopo tanto tempo trovava senso in una sua azione. Una scelta più è irresponsabile più è semplice. Il difficile è convivere con il sensato, su quel campo si misurano gli uomini. Il metro del giudizio non fa sconti, non ammette elasticità e non è opinabile. Misura. Cifra l’uomo saggio e lo separa dal mancante.
La passerella stabile sotto i suoi piedi l’allontanava dalla terra e dalla saggezza, rendendolo mancante. Sarebbe passato molto, forse troppo, tempo prima che invertendo i passi avrebbe riacquisto la sua dimensione razionale, il controllo sull’istinto. Strusciò nelle mani la carta della lettera, anche quando raggiunse il ponte. Quasi che quel sottile foglio, con il suo rumore, dovesse scandire chiaramente ogni passaggio, ricordandogli il perchè. Nel tempo di internet una lettera è insolita e quindi preziosa, va tenuta con cura e certamente reca in se qualche piccolo segreto, una promessa o una grande delusione.