Sarcasmo e sedia elettrica
Quando il tribunale del popolo emise, tredici anni prima, la sua condanna capitale pensò che in fondo se l’era meritata. Nella sua testa un’unica imputazione non aveva mai accettato, non condivideva: “il cittadino Sanfedista ha piú volte fatto uso di sarcasmo, per offendere, confondere e vilipendere cittadini semplici, non intaccati da sovrastrutture leziose, al solo fine di trarre piacere personale senza trovare egli alcun giovamento materiale dal suo atteggiamento”.
L’antimaterialismo era inaccettabile per il tribunale del popolo. Si poteva transigere sul resto. In fondo per la sola accusa di “speculazione filosofica non funzionale a teorie economiche” se la sarebbe cavata con uno o due anni alla Bocconi, come anche per il terzo capo di imputazione: ” accertata non volontà di accrescere il patrimonio familiare, aggravato dalla consistenza dello stesso”. Erano reati bagattellari, di poco conto, e dire che il giudice in caso di tentata corruzione dell’imputato avrebbe anche dimezzato la pena. Ma sul sarcasmo non ci fu arringa che tenne. L’avvocato si era appellato ad esempi illustri, citando puntate di show televisivi, di reality, ma il pubblico inquirente, aveva smontato uno ad uno gli esempi, appellandosi al fatto che il sarcasmo usato nei programmi tv trattavasi di finzione scenica, certamente censurabile ma comunque finzione, utile all’intrattenimento del pubblico e quindi al profitto dell’inserzionista. Il Sanfedista d’altronde era stato accusato di sarcasmo da varie delazioni anonime, che erano preferibili a quelle nominali perchè in maggiore sintonia con la visione sociale del Paese.
Mentre procedeva verso il patibolo ad ogni passo rifletteva sul sarcasmo. Metro massimo di valutazione dell’individuo che lo applica e di chi lo subisce.
“Il sarcasmo – si ripeteva – è un circolo di privilegiati è un’attestazione di appartenenza ad un circolo.”
Quando era giovane, alle prime armi, aveva applicato infruttuosamente il sarcasmo con persone non in grado di coglierlo. Si ricordava quella magnifica citazione al cassiere del supermercato, in cui il Sanfedista accortosi che l’inserviente dimenticandosi di far pagare la busta l’aveva rapidamente aggiunta al computo, citò la presenza di Dio in ogni oggetto secondo Eraclito, il panteismo. Ricordando al cassiere che effettivamente trovandosi Dio in ogni cosa era ben giusto dare un valore anche ad una busta di plastica biodegradabile, sponsorizzata. Il cassiere annuì e sorrise beota, non cogliendo in alcun modo lo spirito delle parole.
Crescendo il Sanfedistà iniziò poi a modulare il suo sarcasmo in base all’interlocutore. Perchè il sarcasmo non essendo mezzo didascalico, non avendo un compito educativo, deve sempre adeguarsi, ove necessario, al livello di chi lo subisce, altrimenti la sua forza degrada fino a diventare impalpabile, rovinando così il costrutto.
Passo dopo passo la sedia elettrica, alimentata a pannelli solari e certificata ISO, si faceva più visibile. Per qualche secondo provò piccoli fremiti agli alluci, che rapidamente, catalogò come rimorsi. Sorrise. Cercò qualcuno dei suoi oltre il vetro che dava sulla sala patibolare. Notò solo il cameraman della televisione e una compagna di scuola, Gabriella, vessata per anni, con un cartello in mano su cui era scritto “Goditi il viaggio!”. L’ ex compagna di classe piangeva di rabbia. Il Sanfedista, pensò in quegli istanti alle sue ultime parole, quelle da dichiarare spontaneamente prima del buio, l’ultimo sussurro da il senso ad un’intera esistenza. “Potrei dire rivolgendomi a Gabriella che non ho mai fatto un viaggio con un panorama peggiore, oppure potrei dirle che assistere alla mia esecuzione era l’unico modo per vedere un uomo che la guardava elettrizzato.” Ma poi gli venne in mente quello che avrebbe detto.
Era legato sulla sedia, le ultime pratiche, il conforto religioso, la richiesta se avesse voluto un cappuccio per coprirgli il volto da cui sarebbe dipeso l’orario di messa in onda: fascia protetta con cappuccio, non protetta senza.
“Ha il condannato un’ultima dichiarazione?”
“Gabriella ti ho sempre amata, cercavo solo la tua attenzione, perdonami”. Lo disse serio, impassibile, con gli occhi pieni di luce.
Seguì un secco rumore di scintillio. Gabriella scoppio a piangere, convinta dalla dichiarazione – in realtà fasulla – che donò al Sanfedista un ultimo sorriso e alla spettatrice un illusione e sensi di colpa che si legarono a lei per il resto dei suoi giorni.