Una sera, primavera, pasta fresca a champange
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Oggi sono andato all’università per questioni burocratiche e per prendere il libro di testo da studiare. Eh si per insegnare, interrogare etc bisogna innanzitutto conoscere ed io di storia del diritto romano ricordo ben poco. Per la verità c’è una storia divertente su questo. Era il 2000 ed io ero fresco iscritto a giurisprudenza. Avevo moltissima libertà ed i miei genitori mi ritenevano, errando, molto maturo. Pensavano fossi assolutamente in grado di sostenere ed organizzare i miei tempi universitari in maniera autonoma. Ed io, ingenuo, pensavo che l’università fosse un po’ come il liceo. Ovvero un posto in cui, comunque in una maniera o nell’altra te la cavavi. Trascorsi i primi 6 mesi di giurisprudenza come un infinito carnevale. Feste tutte le sere, pomeriggi con le fidanzate, gite in auto…arrivò aprile e mi resi conto che avevo dopo 15 giorni il mio primo esame. Storia del Diritto romano. Lo preparai. Il giorno dell’esame, del mio primo esame, misi dei pantaloni grigi, una camicia bianca e delle scarpe eleganti. Vennero inoltre con me tutti i miei amici, a darmi supporto. Eravamo credo in 20. Fui chiamato e andai alla cattedra con il sorriso di un vincente, in fin dei conti lo ero, scherzando con gli amici. Mi sedetti e cominciò l’esame. In pochi istanti capii che la faccenda era molto più seria del previsto. Chi era difronte a me non era ben disposto come i miei professori al liceo, ma era neutro, ovvero valutava senza emozioni, per lui ero una matricola. Mi incalzava con le domande ed io cercavo di rispondere come avevo sempre fatto quando non padroneggiavo bene la materia: deviando, cambiando argomento, sorridendo. Tutto inutile. Più io mi allontanavo dalla domanda più lui tornava ad essa, implacabile. Durò tutto una quindicina di minuti, che a me sembrarono un’eternità. L’assistente mi bocciò e ritenne anche di consigliarmi di non proseguire il mio percorso in giurisprudenza “lei non si laureerà mai”, disse certo. Tornai ai banchi sorridendo. Gli amici si avvicinarono e mi dissero, “e allora? Come è andata? Trenta”. “Sono stato bocciato”. “Il solito buffone, non ci sfottere”. Mi feci serio e loro allora capirono. Il 10 novembre sosterrò il mio primo esame in storia del diritto romano, 14 anni dopo, dal lato giusto stavolta della cattedra, dal lato vecchio, forse. Penso sarò emozionato, ma sono sicuro ripenserò a chi mi disse “secondo me giurisprudenza non fa per lei, si iscriva ad altro, è ancora in tempo”. Lo penserò mentre mi siederò e mentre valuterò i ragazzi, chissà che non mi riveda in qualcuno, in un qualcuno a cui quel giorno, quella bocciatura alla fine servirono, poichè da quel momento compresi che qualcosa si era rotto, che avevo lasciato per sempre il mondo dei bambini per entrare in quello degli adulti, con più spigoli e meno ovatta, con più libertà ma anche con infinite responsabilità. Bello, però perchè alla fine, se davvero vuoi, se davvero insisti, ti potrai sedere anche tu dal lato giusto della cattedra.
C’è poi chi dice che mi sia sposato, chi dice che addirittura abbia comprato casa, viva a Napoli e lavori lì. Chi mi ha visto di recente lo sa bene che sono tutte dicerie prive di ogni fondamento. Sono qui come sempre ad aspettare l’autunno. Che è arrivato. Sono stato in america questa estate, ma non l’america finta, l’america creata a tavolino, ma l’america vera. Gli Stati Uniti. Tutto il resto, il sud e il centro, sono semplicemente luoghi disagiati come gli altri. Ed allora andiamo in Affrica no?
“Sembrare e non essere è come filare e non tessere”. Lo ha detto ieri la nonna, quasi 90 enne. E’ una frase che suona troppo bene per ragionarci su, anche perchè che differenza c’è tra filare e tessere? Oggi chi la conosce la differenza? Come d’altronde tra sembrare ed essere.
Buon autunno a tutti.
questi granelli di polvere che respiriamo da quale tempo arrivano? Me lo dici?
Napoli è sporca; Noi siamo sporchi…La nostra pelle è sporca di salsedine, di colori, di profumi… Le nostra case puzzano di Ragù la domenica, le strade puzzano di babà, di sfogliatelle… siamo fastidiosi… caotici, urliamo… diamo fastidio perchè anche se siamo tristi, riusciamo sempre a donare un sorriso a chi è piu triste di noi. Terroni che ogni domenica riempiono le tavole di commensali gioiosi, ma quanto siamo arretrati… quando con orgoglio serviamo a tavola una semplice pasta con pomodorini del Vesuvio e due foglie di freschissimo basilico raccolto dalla nostra piantina n’copp 0′ “barcone”.
Siamo arretrati perchè ancora riusciamo a sopravvivere senza gli alimenti geneticamente modificati. Siamo arretrati perchè ancora abbiamo tempo da perdere per chiacchierare con il fruttivendolo o con il macellaio.
Siamo pizza cotta nel forno a legna… siamo gente sporca di mozzarella freschissima. Siamo macchiati da 3000 anni di storia, siamo indegni detentori di 5 castelli e 365 chiese. E’ vero, puzziamo di precarietà, puzziamo di generosità e di bontà d’animo ogni giorno apriamo gli occhi e la prima cosa che diciamo è: Gesù mio, accompagnami anche oggi e ci basta questo per tornare a sperare in un futuro migliore. Puzziamo di Terra dei Fuochi, ma anche di patria del Cristo Velato, di Caravaggio, Solimena, Ribera, Luca Giordano, Bernini, De Mura. Dobbiamo bruciare per le urla festose dei bambini di Spaccanapoli, dei pallonetti o dei quartieri, ma anche di quelle dei bambini di Posillipo, della Riviera, del Vomero. Puzziamo perchè abbiamo le donne piu belle del mondo, prosperose, calde, carnali. Donne che chi odia Napoli, può soltanto sognare. Se il Vesuvio deve “lavarci con in fuoco” vi dico: amo la mia terra, le mie gloriose origini e se puzzo allora, beh allora va bene. E’ la “Puzza” della mia NAPOLI… e ne vado fiero.
Credere significa sostanzialmente sopravvivere.
Parlare del mare increspato, dello scirocco, e di altre condizioni metereologiche, utilizzandole in chiave allegorica è una cosa disonesta. Non sbagliata ma disonesta.
Gli autobus sono rumorosi perchè mal progettati? Ovvero, gli ingegneri della AnsaldoMenariniBus pensavano che avrebbero corso sul parquet?
L’ipocondria è solo una strategia di avvicinamento al concetto della morte. L’ipocondriaco ama la vita molto di più del sano perchè ritenendo di essere sempre malato vive più momenti di sollievo puro, essenziale. Nella finestra tra la fine di una malattia immaginaria e l’inizio di quella successiva ci sono una 20 di giorni estatici. Chi, tra i sani, prova grazia e felicità per 20 giorni di seguito? L’ipocondria è quanto costa agli intelligenti la felicità.
Non credo che alcune persone siano recuperabili. Gli ignoranti e i cafoni, chi non sa vivere decorosamente, sono per me poco più che ingranaggi rotti, che producono brusio di fondo, picchi di fastidioso rumore e vedute disgraziate. L’incedere malfermo, il nutrirsi senza alcuna creanza per il cibo e per la tavola, il parlare mostrando troppo i denti e l’accalcarsi per vedere spettacoli insulsi, mi rendono insofferente verso le persone. Tenere accesa la televisione a cena senza un’interazione tra i commensali è l’abbrutimento incarnato, è la deumanizzazione dello strumento celebrale, ridotto a mero recettore di pensieri altri assunti acriticamente. Fare una cosa del genere è sfidare migliaia di anni di bello sopraffino, recedere agli insegnamenti e agli esempi di Rembrant, Eraclito, Mozart e Caravaggio. E’ mortificare una macchina così preziosa per compiti tanto miserabili. Spegnete la tv quando cenate e conversate.
Evidenziare i propri limiti in pubblico senza combatterli è molto peggio che nasconderli agli altri negandoli anche a se stessi. Il dire “sono così”, non ti assolva ma ti condanna.
La vita è il non fare in tempo a chiudere la finestra per una folata di vento, che il vaso è già caduto.
E’ capitato a tutti di fissare la collina con l’albero sulla sommità. E’ una delle immagini più diffuse tra gli oculisti. Quando fai la visita te la fanno fissare. Ti dicono “fissi per qualche secondo l’albero. Perfetto grazie mille”. Io quando fisso quell’albero penso sempre che mi piacerebbe esserci sotto. Appoggiato con un po’ di vento che mi lambisce la nuca. E’ un pensiero incatenato. Ovvero tutte le volte che vado dall’oculista mi dico “anche stavolta penserò al fatto che mi piacerebbe stare sotto quell’albero”. Ovviamente appena compare la foto diventa impossibile pensare ad altro.
Sarà che tutti quanti noi siamo ormai privi non solo di solide prospettive economiche, ma anche di prospettive morali (ci hanno distrutto la fede) e politiche (hanno affossato gli ideali). Ci hanno lasciati in un momento di merda nudi e privi anche del trascendente, del superiore che salvava quelli di prima cidel rivoluzionario, quindi praticamente fottuti. Sarà tutto questo che mi fa pensare di stare sotto quell’albero quando vado dall’oculista.