Primo Carnera, il mio cenacolo ideale pt. XIII
1906-1967, pugle, qui in foto con Jean Harlowe
"Ho preso tanti pugni nella mia vita, veramente tanti… ma lo rifarei perchè tutti i pugni che ho preso sono serviti a far studiare i miei figli. "
Quando il 22 giugno del 1933 i telegrafi comunicarono all’Italia che a New York Primo Carnera -la montagna umana- aveva battuto per K.O. alla sesta ripresa il campione del mondo Jack Sharkey, un’ovazione percorse all’unisono la penisola. L’Italia per la prima volta aveva un campione mondiale dei pesi massimi. Carnera era italiano fino all’ultima cellula, in quegli anni di estremo consenso indossava la camicia nera e telegrafava dopo ogni vittoria al Duce, aveva una famiglia perfetta e veniva su dalla miseria più nera.
Disciplinato e generosissimo, rifiutò svariati compensi versandoli alla Patria e prese un ceffone in pieno volto dal padre, quando già campione del mondo tornò a casa alle 21 e non alle 19, orario stabilito per la cena.
Il suo primo paio di scarpe nuove furono degli anfibi trafugati ad un soldato austriaco morto: girava per cercare qualcosa da mangiare, il padre era al fronte e la madre aveva venduto la fede, quando si imbattè in un soldato impiccato con la sua stessa taglia di piede il 52.
Mosaicista come il padre, carpentiere, circense e poi pugile. Girò il mondo e perse i denti per il pane. Mai domo morì a circa sessantanni garantendo però un futuro migliore alla famiglia, i suoi nipoti vivono in america e sono psichiatra e chirurgo; Primo sicuro da lassù si bea al ricordo di quel gancio che prese in piena faccia da Baer, ne prenderebbe altri cento solo per il gusto di vedere i nipoti in camice bianco, lui che lasciò la quarta elementare…
In un momento duro per l’economia, inviterei lui a raccontarmi di come ci sia riuscito, ad insegnarci che lo spirito e la volontà alle volte leniscono anche un po’ la fame.
Un esempio.
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