ogni tanto provo a illuminare il buio della grotta
cadenzo la torcia, accesa/spenta, accesa/spenta
ad immitar l’sos che vidi una volta in un film di guerra.
Sono qui con l’estremo della corda in mano, il mio estremo
e di tanto in tanto lancio un urlo dentro
nulla; ribolle solo il vento che inarca la spelonca.
Comincia a piovere ed io fuori strattono un po’ la fune,
impaziente, che di te non ho più senso
la mia Arianna. Non ricordo nemmeno quando entrasti,
se era giorno, notte, estate o inverno, forse autunno.
ma mi dicesti tieni stretto questo, è il filo, il nostro.
Ed io con il filo in mano temo sempre di più sia solo mio
ma non lo lascio e vado via, fosse anche che aspetto solo buio
che da dentro non esce.
e tu magari sei sbucata all’altro capo abbandonando il cavo
ti sei gettata nella primavera. Oppure no e già da ora stai invertendo il passo.
Io non lo so e nel dubbio, che è la ragione nella speranza, continuo fermo
e, intanto, mi riparo dalla pioggia.
“Penitenziagite” solevi ripetere.
Sgorgante giallo dal cranio
il pensiero che s’alterna al silenzio.
Rumore pensato, in strisce affettato,
lo usasti per foderarci la stanza,
…col pensiero…che uso bizzarro.
Potevi ben stenderlo come tappeto in navata
L’Ave Maria, la grassa cantante,
che rompe di nuovo il pensiero, sudata.
“Penitenziagite” solevi ripetere.
Eppure a ripensarci, lo schiocco del fustigo non ti piaceva affatto
e il nerbo lo scartavi anche dal filetto
e quante storie, quanto il filo retto
ti piaceva tracciare. Da un lato e dall’altro.
“In mezzo non c’è niente!”
E se io in medio andavo a cercare, lo sciagurato ero io
che trovavo, non tu che seguitavi a celare.
Tant’è che quando scovavo, dicevi “no, no era altro, non questo”.
“Penitenziagite” solevi ripetere
Sgorgante giallo dal cranio
il pensiero. Ancora una volta
credevi di incidere su un lato di marmo
scrivevi in realtà su vetro appannato
che pure allagando di nuovo il mio bagno
non emerge dallo specchio altro che il mio volto offuscato
incorniciato, come sempre da una tua scritta che proprio non leggo.
ed il fumo che sale da chissà quale
sigaretta,
un camposanto di mozziconi tra i denti schiacciati
100 becchi gialli riposano in groviglio
e se non scorgo quello che ancora si consuma
per me ardon tutti in unico giaciglio
e ci impazzisco, vi assicuro,
vorrei riveder per un istante sotto la bragia
il diamante che brilla,
il carbone rossastro,
la scintilla
di quell’ultimo tiro
che tanto m’appartiene da non sopirsi mai
che va’avanti a strinare distante dalle mie labbra,
come un urlo che caldo di fiato
non si raffredda in lontanaza
ma continua a vibrare
tra un passo e un altro
che compio
mi ritrovo nel silenzio
dove c’è per me
il vero movimento
ancor prima di appoggiare
la punta al suolo
ho già volato avanti
per giorni
e nell’infinito muto
galleggio rapido
e gli spazi si contano
in passi da spendere
dove lo spostamento sta
nell’attesa del cammino
Gustave Caillebotte (1848-1894)
I piallatori di parquet
1875
Olio su tela
Cm 102 x 146,5
I Cubetti di mercurio
Non li scioglie nemmeno il martini
Le sigarette non sono torce olimpiche
Che se mi fermassi ora non sarei un bel fossile tra 30 milioni di anni.
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che salta come rana lacustre
di ninfea in ninfea
luce verde arborea è rete d’aria
che accalappia moscerini, zanzare e pensieri
i volumi maggiori pesano e non spiccano nemmeno in volo
fisica, meteorologia e fantasia
complottano in segreto affinché il peso non s’alleggéri
il vento non spiri e il sogno si perda nel respiro pesante
e come il buio non superi la notte.
E se per caso poi vince e vola è illusione ottica, follia o suggestione.
Dietro un grosso masso non ci può essere un unicorno
e se pure lo scorgi, e ne sei certo, taci, tanto loro distoglieranno lo sguardo
e rivolti al cielo, stupiti, costateranno che c’è il sole.
Bella scoperta.
Ma dov’è Nausicaa?
è ritta sul poggio che l’immoto mar scorge
come di ghiaccio.
Le remi incrostate su spuma gelata,
la risacca è musica di cristallo purissimo
suonata, filata, come di zucchero lieve
La spiaggia? tempesta di neve
e attende un solo secondo
ma è tutto un unico istante se il tempo non corre
che non ha nome se non semplicemente, nuovamente, “tempo”.
Dimora inchiodata nel giorno che viene
archiviato al futuro.
E nemmeno si scivola con tutto quel ghiaccio.
Fortunatamente il mio cervello percepisce maggiormente le distorsioni delle armonie. Sapete che sono stato in grado di ballare solo nella stanza vuota e al buio, con questa musica? Quella che segue…
com’è fantastica la mia vita, assaggiamo tutti un po’ di palco la città sarebbe una fantastica platea, sbigottita. Il resto che noia. Sorridere da soli. Non c’è nulla di meglio. Vi prego sorridete quando siete soli e guardatevi da fuori. Immaginatevi con grandi orecchie da asino ed avrete pagato il prezzo per entrare nel mondo dei balocchi.
…notte…