Di nuovo sole.

scritto da Sanfedista il 14 gennaio 2008,14:09

Ha piovuto tanto, forse troppo in questo periodo. Ha piovuto sulle buste sparse, sui titoli di giornali, sulle affermazioni degli altri italiani: quelli del nord che hanno scaricato qui i rifuti tossici per anni ed ora non li rivogliono e su quelli del sud che per anni li hanno raccolti senza opporsi e che ora vogliono renderli. Ha piovuto sulla gente manifestante in frotte che si è spenta, poi, alla prima goccia. Ha piovuto su di noi in giacca e cravatta, che corriamo via alla prima acqua, neanche fossimo fatti di zucchero. Ha piovuto sull’asfalto, sulle ruote che calcano la terra, sul vesuvio che sonnecchia e che ci ricorda che i giorni non sempre potranno essere tutti ugali. Ha piovuto su S.Gennaro, che fa il miracolo e fa sciogliere il sangue; se si è sciolto anche quest’anno correrò via da qui con tutte le mie forze quando resterà grumo, non immagino sventure peggiori.

Oggi è il sole sfacciato, che secca, che infrange sul litorale. Io dal mio luogo penso ad altro, compro quattroruote e mi decido a cambare automobile, questa la consolazione che il sole oggi mi offre.

L’arte del resistere.

scritto da Sanfedista il 28 dicembre 2007,18:45

Emile Wauters: The Madness of Hugo van der Goes, 1872. Royal Museums of Fine Arts, Brussels

Il termine resistenza mi ha sempre molto affascinato. Il suo significato ha espanso la sua forma fino a raggiungere le feste.

In questi giorni fatti di piccoli lussi concessi, di albe vigorosamente raggiunte, di insalubri consumazioni, l’umana specie mi è apparsa resistente alla festa. I miei simili nella quotidianità festiva mi rimandavano all’immagine di garruli studentelli, costretti, ad una mostra di Hugo Van der Goes (per gli incliti: pittore fiammingo; "inclito": colto. L’autore ha utilizzato l’aggettivo chiaramente in forma sarcastica).

Naturalismo applicato a visioni fantastiche ed inqueitanti; questa che potrebbe essere una ottima definizione di taluna pittura fiamminga trova una perfetta adesione alle immagini che ho notato tra le stade.

Esseri umani (anche qui sarcasmo), mugolanti, zoppicavano per le vie fatte fiume. Le vesti, ricovero per il sudore; le mani, invase da pacchi con prodotti la cui scadenza era suparata solamente dall’intrinseco cattivo gusto; gli sguardi, da forzati del riposo, da resistenti alle feste. Un truce carnaio di dannati; una cortina difesa da partigiani, da soldati che non accettano di soccombere alla festa.

Una piccola guerra per gli altri, una linea che unisce due punti per me; non che consideri la festa pari alla giornata comune, ma cerco di ricoverarmi nell’unico privilegio che il riposo concede: il tempo. Vivo il trascorrere del periodo come una diritta linea sulla quale ci si possa adagiare, come un segmento che collega due periodi e che cela nell’infinità dei punti da cui è formato un invincibile segreto che non mi interessa svelare, ma di cui ho certezza dell’esistenza.

L’arte del resistere è fatta di lentezza di cinismo e di purissimo egoismo, di cappotti a doppio bottone e di sguardo finemente altezzoso. L’arte del resistere è tramutare l’ansia in docile pensiero con la forza del tempo.

L’arte del resistere è dichiarare la resa incondizionata per la propria superiorità schiacciante. Ci si arrende per vincere, per sorridere del gli altri e fare un piccolo passo indietro.

Un quadro di Van der Goes si comprende ad una prossimità di un metro, si ama facendo tre passi indietro…

Abattoir

scritto da Sanfedista il 23 ottobre 2007,16:44

Credo di andare al macello…

Ma ordinatamente, con stile, questo è ovvio, sono un giovin vitello, mi luciderò gli zoccoli e cercherò, sul camion, un posto con vista autostrada, per farmi ammirare. Sarò così inconsapevole che nei miei pensieri confusi, il viaggio mi ricorderà la transumanza del 1998, quella con mio fratello Ciuffino, la Rosetta e la Campagnola, ci spostammo dai generosi pascoli abruzzesi alle tiepide stalle di pianura, era ovviamente un ritorno. Credo, altresì, che prima di andare al macello, berrò quel latte inacidito che ho conservato in un catino, mi pare ricordi irdomele, ed abbia, unito al cardo, un vago retrogusto di anice, che mi ricorda l’assenzio molisano. In realtà sono giovane, mi avevano detto che sarei potuto divntare un toro da monta, oppure un bue da soma, ho considerato entrambi i lavori stancanti e per nulla produttivi. Ho curato la mia pelle, l’ho resa morbida, speravo di entrare in Rolls Royce, ma si sa qui al meridione non si trova spazio neanche in Fiat, maledetti pidocchi con i vostri tagli sugli interni in pelle. Allora, ripeto essendo giovane, ho deciso la fuga e mi sono concesso un week end su di un pascolo più lontano e li ho preso coscienza di me, esisto, non riesco a comunicarlo però; "solo muggiti per il povero Eric Francis Terlinger III" mi ostinano a chiamarmi "Mummone" che orrore! La fuga è stata breve, colpa del campanaccio. Sognavo altro, peccato, invece m’accorgo che come ciuffetto, anche per me ci sarà il macello, l’Abattoir, preferisco, un colpo di pisola pneumatica e la mia vita finisce così, un po’ mi cruccio, certo sarò terrorizzato, tutti in fila, ma io apparirò il più bello, e di questo il macellante se ne accorgerà; sparatomi, non tratterrà una lacrima, consapevole, una volta tanto, di aver ucciso una meravigliosa forma di vita, curata, consapevole e compiaciuta; il macellaio quando urlerà:"PINO DAMMENE UN’ALTRO", lo farà con voce rotta dal pianto e l’intero macello capirà chi è morto, il passaporola giungerà al reparto disossamento e poi come un nembo a quello "raccolta frattaglie" finchè tutto il capannone piangerà la mia morte e, specchinaodsi nel caldo rivolo di sangue che esce dal mio orecchio, si vedrà brutto e sgraziato! Privilegio a chi mangerà la mia vita presto spezzata, privilegio a chi mangerà Eric Francis Terlinger III, il più bel vitello, il più giovane, il più ardito e colto…sarà di certo un privilegiato e la sua vita sarà ancora più soave.

Questo ho pensato stamane mangiando un meraviglioso filetto…

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La sigaretta

scritto da Sanfedista il 22 settembre 2007,16:05

E mentre accendo la mia sigaretta davvero capisco la piccola fiammiferaia.

Due o tre boccate e mi trovo ad essere l’ultimo capo dei banditi, un’altra e mi sento Sartre, un ultima accende nella stanza la musica che suonava Sam al Ric’s American Bar. Eppure, davvero, oggi mi guardano quasi fossi un piccolo residuato di un’era diversa, un animale rinchiuso in un manuale di criptozoologia. Un accendino lucido con le iniziali, il pacchetto, uno scrigno magico, sono l’ultimo modo per trarre piacere davvero controcorrente. Forse hanno ragione gli altri, forse sto correndo disperatamente verso la morte avvicinandomi boccata dopo boccata all’ultima. Liberandomi dalle scontate dissertazioni sull’ineluttabilità dell’evento, mi focalizzo sul piacere del fumo. Non c’è ambiente rispettabile che non sia avvolto dal fumo, oggi gli ambienti, diventano, per l’appunto, sempre meno rispettabili e la coltre di fumo scompare rivelando lo squallore. Una conversazione senza un fumatore è come Versailles illuminata a neon.

Nullum est vitium sine patrocino, non c’è vizio che non possa essere difeso, troverete scritto questo nel mio portasigarette ma è una frase sbagliata che feci incidere con tutta fretta e della quale mi pento. Non voglio difendere il vizio del fumo, non voglio difenderlo poichè lo subisco passivamente, poichè non posso far nulla per impedire alle mie mani di cercare in tasca l’accendino ed abbandonarmi così ai sapori familiari del fumo che impasta la bocca. E’ debolezza, certamente, ma la debolezza, in questo caso, è rimedio più che colpa.

Anche il rumore che fa la sigaretta quando si accende è mistico, sfrigola come i primi rami umidi del camino. Il fuoco poi fa la sua parte; con il fumo è come se assumessiomo del fuoco e restituissimo al mondo il nostro respiro visibile, vedi ciò che espiri.

Tutte queste suggestioni rendono il fumare un piccolo rito, come la barba di mattina,  che diventa un segno d’amore per se stesso, paradossale, una piccola attenzione a se stessi l’accendersi una sigaretta? Forse no, ma anche la piccola fiammiferaia sapeva a ciò a cui andava incontro, sapeva che la sua favola, la sua vita quindi, si sarebbe interrotta con l’ultimo buio generato dalla fine del suo ultimo cerino eppure non lo conservò per anni, interrompendo la storia e salvandosi la vita, ma lo fece strusciare sul ruvido e s’abbandonò alla sua magia, un po’ quello che facciamo noi fumatori.

Vi è venuta voglia di una sigaretta vero? Io scrivendo ne ho fumate 3, a voi speculare se sono un fumatore accanito oppure se sono molto lento nel ricercare e nello scrivere…

Concludendo il fumo uccide, il fumo nuoce gravemente alla vostra salute, il fumo rovina la pelle (sic) e provoca il cancro e malattie cardivascolari, non vi ho dissuaso dall’accendervela? Peggio per voi, meglio per me…al mondo già si sta troppo stretti…ed io, vista la mia giovane età, confido nell’immortalità.