Pena di morte.
E’ di pochi istanti fa la notizia che il pittoresco e tranquillizante carrozzone delle Nazioni Unite ha approvato la moratoria sulla pena di morte.
Non ho mai amato la pena di morte. Non ho mai pensato potesse essere una soluzione. Le questioni che supportano le mie convinzioni sono essenzialmente due: quella morale, marginalissima, e quella, più consistente, funzionale.
Le questioni morali sono dettate da una generica etica "cavalleresca"; con la pena di morte si uccide ad armi impari e questo uno Stato non può farlo se non perchè drammaticamente minacciato.
In guerra si uccide per salvaguardare, si uccide poichè sarebbe irrealizzabile una detenzione massiccia. Ma questo è un altro discorso.
Tornando a bomba sull’argomento, mi dilungo nel motivare perchè la pena di morte non garantisce la funzionalità. La pena di morte non credo sia satisfattoria nei confronti delle vittime, sono morte, ma asseconderebbe un rabbioso spirito dei familiari: lo Stato deve garantire ordine, non vendetta. La pena capitale, inoltre, non attua alcuna forma di rieducazione, badate, uso il termine "rieducazione" che prescinde da un eventuale reinserimento, perchè com’è strutturata consente al detenuto di trovare, paradossalmente, nella morte quasi una sorta di liberazione dalla drammatica ripetività della vita in cella.
La soluzione è una: i lavori forzati.
I miei studi giuridici mi hanno portato alla conclusione che un soggetto nel momento in cui compie un crimine contrae un debito con la società. L’unico metodo per ripagare un debito è con il lavoro. Credo sarebbe più satisfattorio e funzionale imporre al detenuto, che si è macchiato di un crimine, un dato periodo di lavoro obbligato. Il periodo sarebbe commisurato alla gravità del reato, si andrebbe, così, dai pochi mesi all’intera esistenza.
Le famiglie troverebbero certamente una maggiore soddisfazione nel pensare che colui che le ha offese, per il resto della sua vita, dovrà alzarsi alle 5 del mattino e spaccarsi la schiena fino alle 5 della sera, senza alcuna possibilità di sconto. In Italia abbiamo risorse non sfruttabili a causa del costo, elevato, della manodopera; bene, si potrebbero impiegare i detenuti; lavorerebbero in miniera, alla manutenzione stradale, alla bonifica ambientale e via dicendo.
Il detenuto, d’altrocanto potrebbe nel lavoro trovare una consapevolezza e, forse, una redenzione, sarebbe, così, meglio rieducato. Crollerebbero, poi, i costi per il mantenimento dei carcerati, poichè verrebbero finanziati con il lavoro dei detenuti stessi. Insomma la certezza del lavoro: faticoso, massacrante, ma sacro per definizione, servirebbe molto di più al sistema che una prosepttiva di morte per iniezione letale.
Temo però che il solo pronunciare "lavori forzati" faccia saltare sulla sedia parte della politica italiana, che per rieducazione intende "permesso premio" e per reinserimento "indulto". Amarezza finale.
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