C’è un film di Fantozzi in cui la moglie, Pina, s’innamora dell’orrido Cecco, panettiere butterato. Fantozzi incomincia ad avere segnali su chi sia che ha fatto perdere la testa alla moglie quando incomincia a trovare pane nei posti più strani della casa. Nella lavatrice, negli armadi, nei cassetti…La moglie infatti pur di vedere Cecco comprava tonnellate di pane. Io a questo punto dovrei essere innamorato del mio tabaccaio. La mia casa è sommersa da pacchetti di sigarette e sopratutto da posacenere pienissimi. Eppure il mio fido Chamind, collaboratore domestico zen, è tornato all’opera dopo il viaggio in patria. Si è fatto una casa in Sri Lanka tipo quella di Tony Montana in Scarface. Qui però è pieno di mozziconi. Mancano gli accendini, come sempre.
Ho una stecca di sigarette lo ammetto. Ihihihihih. Ho sentito al telefono il mio ex collega. Condividiamo le sorti. E’ un ex collega, ma è sopratutto un grande amico. Perchè negli anni quando si è dirimpettai di scrivania, in un ufficio stampa, è un po’ come una trincea. Alle volte sembravamo due appuntati dei carabinieri che controllano la lista dei soliti sospetti, quando dovevamo preparare le media list. Alle volte due geni del crimine quando si scrivevano i comunicati. Abbiamo simulato un numero elevatissimo di litigi, così, per passare il tempo. Abbiamo congetturato mille volte su aumenti di stipendio e sul campionato. Abbiamo vinto un fantacalcio (!). Ci siamo coperti il culo. Risposto agli attacchi, compatti. Costruito dal niente un ufficio perfetto. Svizzeri, come i nostri metodi. Un po’ svizzeri un po’ terroni. Telefonate all’america, che non si capiva mai a che ora erano. Sul fuso di zurigo, roma o chicago. Hello! Hello! Pronto, pronto mi sentite? Hello?! Ho guardato con invidia i dolci che prendeva alla mensa. Maledetto non metteva un chilo. Mi sono innervosito per la sua scrupolosità. Abbiamo stampato, inanellato e distribuito migliaia di cartelle, flyer e locandine. Abbiamo scritto, scritto, scritto e tradotto. Ho commentato i suoi completi, mi sono stupito nei suoi racconti. Abbiamo messo su chili di musica. La mia non piaceva a lui e viceversa. Un gentiluomo. Mi rileggo ed è un po’ gay come cosa. Ma chi è stato in trincea, nella resistenza, sa bene che certi patti sono per sempre. E lui per me è stato il miglior collega possibile e un grande amico. Si è fatto l’abbonamento al Bari calcio. L’ho sentito contento, come devo essere sembrato io a lui. Pensavo che le due canzoni che seguono siano le migliori per spiegarmi in questo momento. Raccontano bene di me e delle mie due anime in questo secondo esatto. Poi magari tra 5 minuti tutto cambia. Ma non è po così? Nella vita.
Space Oddity – David Bowie
Ground Control to Major Tom Ground Control to Major Tom Take your protein pills and put your helmet on
Ground Control to Major Tom Commencing countdown, engines on Check ignition and may God’s love be with you
This is Ground Control to Major Tom You’ve really made the grade And the papers want to know whose shirts you wear Now it’s time to leave the capsule if you dare
“This is Major Tom to Ground Control I’m stepping through the door And I’m floating in a most peculiar way And the stars look very different today
For here Am I sitting in a tin can Far above the world Planet Earth is blue And there’s nothing I can do
Though I’m past one hundred thousand miles I’m feeling very still And I think my spaceship knows which way to go Tell my wife I love her very much she knows”
Ground Control to Major Tom Your circuit’s dead, there’s something wrong Can you hear me, Major Tom? Can you hear me, Major Tom? Can you hear me, Major Tom? Can you….
“Here am I floating round my tin can Far above the Moon Planet Earth is blue And there’s nothing I can do.”
Rocket Man – Elton Jhon
She packed my bags last night pre-flight Zero hour nine a.m. And I’m gonna be high as a kite by then I miss the earth so much I miss my wife It’s lonely out in space On such a timeless flight
And I think it’s gonna be a long long time Till touch down brings me round again to find I’m not the man they think I am at home Oh no no no I’m a rocket man Rocket man burning out his fuse up here alone
Mars ain’t the kind of place to raise your kids In fact it’s cold as hell And there’s no one there to raise them if you did And all this science I don’t understand It’s just my job five days a week A rocket man, a rocket man
Il mio cervello trotta come un cavallo ad Agnano. Con i suoi zoccoli pesanti fa in pezzi tutto. Io non celebro anniversari. Tranne 2 (politici): 28 ottobre e 8 settembre. Quando ero a scuola pieno di idee illiberali il 28 ottobre mi mettevo in camicia nera. Io la camicia nera la odio. Ero un ragazzino entusiasta e cinico. Fondavo giornali scolastici, mi facevo eleggere rappresentante di classe, m’innamoravo delle donne e organizzavo feste divertenti. Però cercavo sempre di guardare tutto dall’esterno. Il mio cervello che trottava. Scrivevo poesie. Seguivo le mode. Ero davvero massificato. Però, vi giuro, l’ho sempre saputo. Cioè io sapevo profondamente di essere massificato. E quanto mi piace ora il rumore della tastiera. Ma gli anniversari non li festeggiavo e non li festeggio. Non ricordo le date. Fatico a ricordare i numeri. Li rileggo trenta volte pensando di averli imparati e un secondo dopo scompaiono. E voi, dico voi, dov’eravate il giorno del vostro ultimo anniversario di fidanzamento? Che facevate? Io non lo so, a onor del vero non so nemmeno il giorno del mio anniversario. Sarà il mio rapporto con il tempo, sarà che tutti ci ricordiamo di aver assistito, ad esempio, ad un’ esplosione di un albero, tutti ci ricordiamo cosa stavamo facendo mentre l’albero esplodeva ma tentenniamo nel ricordarci il giorno. A chi importa il giorno? E’ l’evento che fa l’anno, ricordarsi l’evento è più che sufficiente. Eppure tutti maniaci degli anniversari. Siamo una società in rovina che ha fatto della retorica dell’anniversario la sostanza, il concetto, dell’anniversario stesso. La celebrazione come esorcismo o come rito propiziatorio, a seconda che si tratti di un evento spiacevole o gioioso.
MA COSA PENSANO QUELLI CHE TACCIONO NEL MINUTO DI SILENZIO? SECONDO ME SI CHIEDONO QUANTO DURERA’ IL MINUTO. PENSANO A SE STESSI, MALE COME AL SOLITO.
Grazie agli schemi mentali la mosca sbatte ripetutamente sul vetro Non diamo l’unica risposta esatta, perché sembra inopportuna Fissiamo la luna, ma per correttezza anche un po’il dito.
Dire, Fare, Baciare, Lettera o Testamento? Tutto. Perché le suddette proposte possono essere concatenate, o le une conseguenze delle altre, anche in ordine differente. Quindi rispondo: tutto. Dico, faccio, bacio, scrivo una lettera e faccio testamento (le cose potrebbero riassumersi in un’unica azione). Non applico schemi mentali e quindi non mi precludo di fare le cose in istantanea contemporaneità. Fossi diverso sarei, un tram su un binario, un criceto in una ruota, un minuscolo borghese o un morto. A quel punto avrei fatto bene a non fare testamento, per non cadere proprio all’ultimo in uno schema mentale. Che si scannino per l’eredità e che vinca il più forte o il più empio.
Oggi è (stato) 8 settembre, il nostro 11 settembre. Con vecchia retorica avrebbero detto “data segnata dall’infamia”. Qui mi fermo, sereno comunque nell’aver dato il mio contributo annuale a questa triste rimembranza.
Qualcuno diceva “non abbiamo più 15 anni”. Non ne abbiamo ancora 50 però. E allora siate buoni con me, vi prego di essere un po’ indulgenti se proprio non mi sento ancora pronto per le lenti bifocali. Ci tengo alle mie diottrie così come sono. Meno 5 all’occhio sinistro e meno 5,50 all’occhio destro. Una miopia vigorosa, giovanile, ancora non corrotta e corretta dalla presbiopia. Una miopia conquistata grado per grado, faticosamente. Figlia di una crescita rapida che mi ha portato a superare il metro e ottanta quasi lambendo i dieci centimetri sotto i due metri. Una cattiva vista che certifica la mia teledipendenza degli anni 90. Le mie letture notturne, i miei vacui e interminabili sguardi ad un monitor fisso e bianco poi annerito da parole da rivedere e correggere. Ogni correzione, ogni ricerca sullo schermo notturno mi ha allontanato dai 10 decimi e, sinceramente, in questo modo ogni grado perso è stato ben speso. Qualcuno dalle ultime file potrebbe malignare sugli atti impuri. Anche quelli se avessero contribuito a rafforzare la mia cattiva vista li sfoggerei come cordoni di ordini cavallereschi.
Volevo operarmi con il laser, ma operarsi è come rinnegare gli errori. Gli errori non si rinnegano, gli errori si spendono e ci si compra la conoscenza di nuovi errori. E siate indulgenti con chi cerca di camuffare la miopia con lenti a contatto. Un miope orgoglioso ma che odia gli occhiali e li indossa in particolari occasioni, sempre obbligate o dal caso o dalla necessità.
Vi prego di essere indulgenti con chi ha uno sguardo un po’ appannato sul mondo. Chi crede sia più utile un giardino zen piuttosto che una cabina armadio. Io d’altronde sono pagato per scrivere e chi scrive deve saper vedere da vicino, che da lontano tanto non serve; tanto che per scrivere sarebbe quasi più utile essere ciechi, cioè vedere solo il buio, vedersi solo l’intelletto e immaginare l’ispirazione. Che io ho sempre percepito nera. Una nuvola nera che ti copre lasciandoti sbigottito e incuriosito. Ed io amo lo stupor e la curiositas, fottendomene di Apuleio e della metamorfosi del suo personaggio in asino, proprio per punizione al suo eccessivo interesse alle cose altre da lui.
Se si potesse fumare in bus quanta ispirazione avrei in più. Non mi ridurrei forse a scrivere di notte, comunque in una nuvola di fumo, tra boccate d’ispirazione e diottrie che aumentano alla ricerca del capitolo successivo del libro che porto avanti da anni, metafora troppo semplice di una vita ancora lontana dai 50.
ai cercatori d’oro, ai funamboli senza filo e senza rete, ai capitani di lungo sorso, fenomeni da bar, fenomeni da baraccone, a chi pulisce poi il baraccone, ai maldestri ricettatori di gioielli rubati, ai cantanti senza voce e agli scrittori senza parole, a l’amica di mia nonna che mi offriva il Vov quando avevo 5 anni, a chi ha le sigarette ma non trova l’accendino, il contrario, ai contrari in genere, quelli per partito preso, ai cattivi partiti, ai pescatori di frodo, ai maniaci sentimentali, agli indecisi per vocazione, ai matematici, ai miei figli futuri per i quali scriverò racconti sbalorditivi, a chi si attarda su cose inutili poi esce e piove, ai vedovi – categoria in via d’estinzione-, a chi lotta per i panda ma poi sti panda che hanno mai fatto per loro, a chi ha gratitudine, ma sopratutto agli ingrati, ai bugiardi, quelli impenitenti, che non vogliono assoluzione, ai guidatori di vita in stato di ebbrezza, ai sigg. Martini & Rossi, inventori della notissima bevanda.
agli architetti che il giorno dell’inaugurazione comunque non gli tornano i conti, ai casellanti, alle voci della viacard, ai bip biiiip del telepass, a chi colleziona insuccessi in maniera ostinata, a chi brevetta deodoranti per ambienti, a chi ferra i cavalli, a chi vede un po’ di arte anche in una metro che fa ritardo, a chi non prende la metro perchè tanto prima o poi salta tutto, a chi è davvero coerente con gli altri e meno con se stesso, ai radicali con il prossimo ed indulgenti nei propri confronti, a chi inavvertitamente schiaccia il maiuscolo scrive le cose più belle della propria vita e poi cancella tutto non riuscendo poi a ripetere il miracolo, a chi non sapeva che c’era shift f3 per convertire tutto in minuscolo, a chi scrive in maiuscolo e poi non cancella, si capirà meglio, a chi è innamorato, a chi dice che è solo chimica, agli oltranzisti polemici, a chi non si accetta e poi un giorno filma il bigfoot, a chi ha idee fantastiche ma non riesce a descriverle, a chi prima o poi tanto doveva succedere, a chi imputa al tempo le soluzioni, ai catalogatori di nuvole, a chi a settant’anni scopre una passione, a chi dice a venti che ne ha abbastanza, al barista che con soddisfazione sa che è l’ultimo a chiudere in città, a chi guida i sostitutivi, alle riserve che in silenzio aspettano, a chi non aspetta e fa su un casino, a chi bacia quando non dovrebbe poi lei si gira e l’incanto si rompe, a lei che si gira, a chi aspetta con ansia il primo bacio, a chi il secondo, a chi il terzo e il quarto e così via…
a chi mette 4 puntini sospensivi, buonanotte ai romantici che parlano di luna come se fosse altro che un satellite della terra, a chi è lento anche nell’addormentarsi, a chi ragiona, scrive e strappa, a chi imbianca strutture portanti dei ponti in bianco, a chi attraversando un passaggio a livello pensa sempre che il treno sia li li per sbucare e la sbarra sia guasta, a chi vede 5 volte le previsioni del tempo e poi ne parla in ascensore, alle zanzare mie fedeli compagne, ai ragni acerrimi nemici delle zanzare e quindi miei, a chi mi vuole bene, a chi pensa che il mondo senza di me sarebbe un luogo comunque diverso, a me, a chi vendeva gli aquiloni sulla strada per Fondi, a chi si droga e sciupa la condizione senza scrivere nemmeno un rigo, agli sciatti, a chi si impegna nel confezionare con cura i pacchetti, a chi cerca di fregare il prossimo con tutto se stesso e ci riesce, buonanotte ai navigatori, ai poeti e ai santi che pregano per tutti noi…shhh… ‘notte
Il Silver Fern era un cargo porta rinfusa di categoria cape-size. A differenza delle panamax, che per la loro stazza passano il canale omonimo, la Silver Fern era costretta a doppiare Capo Horn quando dall’Atlantico doveva fare rotta al Pacifico. C’è una vecchia usanza; quando una nave passa Capo Horn, tormentato quasi sempre da mare in burrasca, il faro cileno che presidia lo stretto telegramma alla nave le congratulazioni e gli auguri di buon proseguimento della navigazione. Il fanale è chiamato dai marinai “Faro alla fine del mondo”, di qui la novella di Verne. Pensò a tutte queste cose, quando stringendo in tasca la lettera, salì sulla nave per il suo servizio volontario annuale.
I passi erano spinti da un pensiero che aveva la forza di trenta braccia, un pensiero così assoluto che gli fece tremare la mano spegnendo il cerino per la sigaretta. Ne accese un altro, diede un rapido sguardo all’anonimo porto di Praia da Vitòria e si sentì per un istante sollevato. Dopo tanto tempo trovava senso in una sua azione. Una scelta più è irresponsabile più è semplice. Il difficile è convivere con il sensato, su quel campo si misurano gli uomini. Il metro del giudizio non fa sconti, non ammette elasticità e non è opinabile. Misura. Cifra l’uomo saggio e lo separa dal mancante.
La passerella stabile sotto i suoi piedi l’allontanava dalla terra e dalla saggezza, rendendolo mancante. Sarebbe passato molto, forse troppo, tempo prima che invertendo i passi avrebbe riacquisto la sua dimensione razionale, il controllo sull’istinto. Strusciò nelle mani la carta della lettera, anche quando raggiunse il ponte. Quasi che quel sottile foglio, con il suo rumore, dovesse scandire chiaramente ogni passaggio, ricordandogli il perchè. Nel tempo di internet una lettera è insolita e quindi preziosa, va tenuta con cura e certamente reca in se qualche piccolo segreto, una promessa o una grande delusione.
L’albero esplose. Lo videro fin giù alla contea di Redis. Pezzi di glicine, passiflora e sicomoro ovunque.
Il vecchio beota, Carl, strattonò la moglie, intenta a leggera la “pseudomonarchia dei demoni di Weyer” mentre friggeva scorfani sulla piastra, lei si girò a guardare il lampo accecante dell’albero e rigirò subito dopo uno scorfano.
Radrovitz, il postino ubriacone, quasi cadde dalla bicicletta, stava consegnando un figlio alla vedova Dillinger, quando fu colpito dalla tremenda onda d’urto dell’albero. La vedova Dillinger dal canto suo era bloccata da circa 4 ore nell’ascensore di casa sua. Un villino a basso impatto ambientale costituito di un solo piano, edificato con i soldi ricavati dai sequestri di persona del marito, il fu Houdinì Thomas Dillinger. Medico per vocazione, anatomopatologo, e rapitore amatoriale, sia nel senso di principiante sia nel senso di stupratore di rapite. Ma lei lo amava.
Cristobal, di padre fiammingo e di madre lettone di Vibo (questo il soprannome della mamma in paese a causa della sua preferenza per il talamo) riparava sul tetto l’antenna. Lo scoppio sintonizzò all’istante tutti i canali, in qualità del segnale 10, meno che tele Padre Pio con la diretta dalla bara del Santo che era in qualità 9. Sarebbe risalito sul tetto il giorno dopo per rimodulare tutto daccapo, rischiando di non vedere più nulla.
Cassio l’orologiaio, vedendo dal suo negozio tutto quel fogliame, esclamò che si trattava dei tedeschi. L’amico Agostino lo tranquillizzò dicendo che i tedeschi erano usi far esplodere tè verde. Ripresero entrambi a riparare la pendola del dott. Calvo. Il dottore era effettivamente calvo.
Il barbiere ripuliva con una scopa il salone. La vetrata infranta dallo scoppio fece saettare vetri ovunque. Fu colpito da una dozzina di essi. Di colori blu, bianchi e rossi. Spirò serenamente come sempre aveva sognato. Il testamento fu immediatamente impugnato dal figlio legittimo, Facondo, il fratello germano del barbiere si oppose ma non vi fu mezzo. E mentre le foglie ancora non avevano smesso di cadere ovunque, Facondo già guidava garrulo la A112 Abarth del padre, come aveva promesso alla fidanzata tanti anni prima.
Clelia, sentito lo scoppio, diede licenza alla cameriera ed abbracciò il suo cane, Maxwell, che la morse. La cameriera, sull’uscio della stanza, spaventata dal boato e dal cane prese le sue cose e accelerò il passo.
In sacrestia padre Giorgio sentì le campane ondulare, pensò all’apocalisse e ne fu sollevato. Isaac il rabbino aveva perso la scommessa e gli doveva 10 pezzi da 8. Isaac il rabbino sentendo anch’egli il frastuono temette nell’apocalisse e inserendosi una matita nel naso diede un colpo secco col volto sul tavolo. La matita penetrò nel cervello senza grossi problemi. Sangue ovunque e via.
Rico mungeva la mucca che da quel giorno non diede più latte. Per un’antica promessa alla fidanzata morta in guerra non uccise la bestia e continuò a vivere astenendosi dai vizi della carne.
Salamandros, il pittore del paese, diede nell’attimo esatto del fragore l’ultimo colpo di pennello della sua vita.
La pattuglia di polizia si vide piombare sulla strada un pezzo di radice – che cadendo aveva denudato la più bella del paese, Isotta, che ora era seduta sconsolata sul ciglio del viale – e si era incastonata nella strada creando una strana forma fallica, indecente. Sopra l’abominevole, quanto casuale, scultura era incastrata la perpetua Giovanna, che rapita dal volo del tronco, ciondolava in uno stato di incoscienza e senza dentiera esclamava bestemmie e oscenità da taverna del porto. In men che non si dica i poliziotti transennarono tutto e dicevano ai passanti che non c’era nulla da guardare. I passanti rispondevano: “il cazzo non c’è nulla da guardare”.
Le nuvole come batuffoli di ovatta su un cielo azzurrissimo e soleggiato, contemplavano Ronnie, il lavavetri. Che per solidarietà all’albero si fece saltare in aria. Sporcando tutte le macchine. Redento, il commercialista, si arrabbio in pochi secondi per ben tre volte con Ronnie. Nell’ordine: perchè gli aveva pulito il vetro, perchè gli aveva sporcato il vetro con pezzi di milza e perchè non poteva più pulirgli il vetro. Redento guidava quel giorno un automobile di tipo cabriolet, con capotte abbassata.
Tamericio non si accorse assolutamente di nulla. Era infatti morto il giorno prima.
Il sindaco al suo terzo mandato era in campagna elettorale. Proclamò in un istante il lutto cittadino e chiese fondi a Legambiente. Legambiente faxò che gli alberi secondo recenti studi non erano propriamente dei vegetali. Bleffarono clamorosamente. Ma la risposta soddisfò maggioranza e opposizione, si decise allora di alzare di un millesimo di pezzo da otto la benzina. Perlomeno per pagare chi ripulisse il casino.
Timoty, Ric e Dalton erano alle prese con i preparativi della festa di Leila. Timoty ribadì sul fatto che non si organizza una festa di lunedì, perchè la gente lavora. Avevano finalmente un pretesto per smettere con i preparativi. Leila pianse tutta la notte, anche perchè amava Ronnie.
L’erpetologo del paese, Goia, quella mattina era per funghi. Nel walkmann di marca Sony sentiva la cassetta dei Talking Heads. Fu una mattinata clamorosa, un chilo circa di porcini. Nuovo record stagionale. La canzone Psyco Killer, unita alla sua totale incapacità di distinguere i funghi, gli fece sembrare l’esplosione dell’albero di una bellezza psichedelica. Sentì i colori ma non i dolori. Prognosi riservata. C’è chi dice che se la caverà.
Alabtros, detto Alzheimer, stava tornando dal calcetto, trovandosi oltre la collina dal lato non interessato dall’esplosione vide solo cadere lentamente foglie, in maniera sospesa. Ne raccolse una manciata.
Vicky e Ramon lo stavano facendo per la prima volta. Ramon era alle prese con due piccoli drammi, il reggiseno di Vicky e il preservativo. L’esplosione lo salvò dalla figuraccia. Accorse alla finestra e si accese una sigaretta post coito, perchè già in precedenza venuto all’insaputa di tutti.
Sveva stava aprendo nell’istante del botto una confezione di Somatoline. Usava assumerla per via endoteliale per vincere la cellulite. Battaglia persa da sempre. La cellulite non si combatte certamente sposando un uomo mediocre che non potrà mai pagarti una liposcultura. Il marito di Sveva era dipendente con contratto di consulenza alla Banca Centrale dei Quattro Cantoni Svizzeri, Unica Sede, con il bancomat in riparazione. Il marito di Sveva, tra l’altro era anche povero di famiglia e in quell’istante pensando dall’ufficio che fosse successo qualcosa alla moglie, pianse e ricordò i consigli, inascoltati, del padre, “che era meglio che ti imparavi un mestiere al posto che studiare fuori, che magari con un impiego alle poste a tua moglie ce lo pagavi il chirurgo, ora guarda che cesso che è, solo per colpa tua”.
Roll, l’illusionista, semplicemente sparì urlando “puff”. Il nano Rosco (da leggersi Rosko) iniziò a saltellare come un forsennato. Mezzo truccato e mezzo no, nella sua tutina sgargiante fucsia, fu il primo a soccorrere l’equilibrista caduto. Si sa che quando cade l’acrobata entrano in scena i nani. Questo non dimenticatelo mai e ricordatevene sempre nella vita.
Gaetano guardò l’esplosione direttamente, stava infatti osservando il nido di un fenicottero rosa sull’albero. Dissipata la nube di fumo marrone della corteccia, non rimase più nulla – nemmeno un piccolo insetto di marca Punteruolo Rosa -con suo sommo sbigottimento. Sorrise e si disse “guarda te la natura”. Mise un piede dopo l’altro e andò via fumando.
Rivendico il sacrosanto diritto alla commozione anche per gli uomini. Stasera danno il film “uno sceriffo extraterrestre”. Ero un bambino. Il nonno era vivo. Io il sabato dormivo sempre dai nonni. Rimanevo la sera a guardare la tv con la nonna, in quel museo che è il soggiorno di quella casa, e si vedevano sempre i film di Bud Spencer, in particolare il mio preferito era questo “lo sceriffo” lo guardavo e ridevo come un matto, il giorno dopo ripetevo le battute. Fu anche la prima volta che mi commossi per un film, nella scena che seguirà, per l’esattezza.
La nonna era paziente. Stasera l’ho chiamata, vivo a Roma, ho quasi 30 anni e lei 85, ci sente meno ma ricorda ancora…le ho ricordato del film e mi sono un po’ commosso. Per il film e per il passare degli anni, che me la fanno ritrovare anziana, un po’ curva, sempre lucidissima e alle volte ancora cinica. Con i suoi bilanci, come tutti noi, con i suoi errori, e con la mia immensa rabbia di non poter tornare indietro anche solo per una sera, per un film. Magari sapendo che il nonno dorme nella stanza accanto. Si sveglierà a mezzanotte, colpa dell’insonnia figlia della campagna d’Albania o d’Africa, si alzerà, berrà un generoso bicchiere di whisky – la sua medicina – e brucerà un intero pacchetto di sigarette “bis”, io ricordo gouloises, davanti alla tv. Magari tornerà in stanza e ricomincerà a scrivere, con il rumore della sua macchina che invaderà l’immensa casa buia, e che mi farà dormire tranquillo.
Potenza del cinema, immensa potenza di questo strumento. La domenica mattina a entrare in quel salone solo odore di sigaretta e un televisore spento. Sono contento di portare avanti le tradizioni.
Cinico Giurista e Critico Letterario su un quotidiano. Felice guidatore di una automobile cabriolet, amante del teatro e del cinema, di Gozzano e Marinetti. Amante di Se stesso. Informatore sofisticato per lettori privilegiati.
odi et amo
Odio : La volgarità
Amo : Sigarette francesi, gauloises.
Accendere le stesse con un accendino di metallo o con un fiammifero, adoro il rumore del fiammifero e il suo profumo.
Salmone scozzese, lo preferisco molto al norvegese.
Whiskey irlandese di marca Jameson.
Sigari di dimensioni “petit corona” marca Montecristo.
Ascoltare musica brasiliana.
Luci soffuse e penombra per riflettere di sera.
Non abbassare mai le persiane andando a dormire, amo risvegliarmi col sole.
Collezionare piccole cose di cattivo gusto, trarne la bellezza.
La velocità, le automobili inglesi, o le classiche sportive italiane, comunque automobili che mi diano risposta pronta nel momento in cui pigio l’acceleratore.
Sentire vecchie canzoni italiane e i Queen.
Amo anche la musica trash.
Indossare la cravatta, il cappotto lungo o un pullover a collo alto.
Amo l’inverno, ma da un po’ sto iniziando ad apprezzare anche l’estate.
Amo le suonerie dei cellulari tradizionali.
Guanti di nappa nera, con cachemire all’interno.
Ascoltare musica in auto e viaggiare di notte.
Un buon vino rosso siciliano.
Il panettone con l’uvetta e senza canditi.
Mi piace riflettere e osservare gli uomini.
Amo le donne che parlano a bassa voce.
Amo le donne che hanno qualcosa da dire.
Il sassofono ed il piano sono i miei strumenti preferiti, mi piace Chopin.
Non credo nella democrazia.
Amo il decadentismo e il futurismo.
Amo essere confuso.
Preferisco i soggetti alle nature morte.
Il latte intero.
L’acqua e le fontane.
Bere alle fontanelle.
Leggere giornali non schierati politicamente.
le persone dolci e propense all’ascoltare.
Il gelato al pistacchio della gelateria “Otranto”.
Il motorino in città, anche con la pioggia.
La pioggia.
Le parole francesi, tipo “boudoir”.
David Lynch, Kubrick.
Un buon film al cinema.
La parmigiana di melanzane.
Le ostriche al “grand caffe le cappucin”a Parigi.
Il lenzuolo nuovo dopo la doccia.
I massaggi.
Il papillon ben annodato alla prima del S.Carlo.
Affondare i piedi nella sabbia tiepida.
Una doccia dopo il mare.
Le persone che ti guardano negli occhi quando ti parlano.
Muovere la mano in maniera mai brusca.
Andare a letto quando tutti sono gia a letto.
Fare scali tecnici mentre si vola.
Affondare nelle poltrone della buisness class.
Lo skyline di Pudong visto dal bund di Shanghai.
Las Vegas a mezzanotte mentre la fontana del Bellagio esplode con la musica di Gene Kelly.
Il caldo secco della Savana in Tanzania, la polvere che ti sporca e la piscina del Plantation Lodge che ti aspetta a mezz'ora di Jeep.
Concedersi un riposino pomeridiano estivo in Hyde Park a Londra.
Il cielo della Scozia sempre così imprevedibile.
Un tramonto su ponte Carlo a Praga.
Il corno d'oro di Istanbul, all'alba alle 6.00, ma visto dal mare.
Amsterdam e la sua leggerezza, Barcellona e la sua lievezza.
Il suk di Marrakech, dove sei sicuro di aver fatto l'affare della tua vita ma poi vai in Tunisia e ti senti un idiota, arrivi in Egitto e pensi che non ti è andata poi così male.
Il Sahara, maledetto...
Il golfo di Napoli al tramonto, così conosciuto ma così tremendamente inatteso.
Un’uscita in barca nell’Auraki Goulf ad Auckland in Nuova Zelanda.
Aggiustare i capelli sopra l’orecchio alla ragazza a cui voglio bene.
Un bicchiere di mirto sul balcone quando tira vento e il tempo minaccia pioggia.
Un cappello a falde larghe.
La camicia sempre e comunque, anche sul costume da bagno, bianca, azzurra oppure a righine. D'obbligo le iniziali.
La mia coscienza : Fiera
La mia sorte : comunque certa