Frank Sinatra, il mio cenacolo ideale pt. VIII
1915-1998, cantante.
"La sua musica è fatta da deficienti che cantano testi maliziosi, lascivi, per parlare chiaramente: sporchi. Ha finito con il diventare la marcetta di ogni furfante sulla faccia della terra. È la più brutale, brutta, disperata, perversa forma di espressione che io abbia avuto la sfortuna di ascoltare." Frank Sinatra, parlando di Elvis Presley.
Esattamente l’inverso di quello che diceva sulla musica, del pur grandissimo, Elvis si può dire sulla musica di Sinatra. Furioso e carismatico, Sinatra frequentava la mafia americana, la casa bianca, le chiese di Manhattan e il Flamingo’s a Las Vegas. Italiano quanto lo possono essere gli americani, Sinatra è un lucchetto al cuore, uno smoking sporco. La voce fatta di pelle e dollari, l’occhio azzurro furbo, di chi ancora una volta l’ha scampata bella. Ha fatto, insieme al "Re", la storia di Las Vegas, quando morì furono spente, unica volta nella storia, tutte le luci dello Strip (il celebre corso), poi di nuovo monete tintinnanti e slot impazzite a clebrare i nuovi miliardari per una notte. Il suo sorriso bianco come le striscie della bandiera funzionava di più di un colpo di pistola, il suo stacco finale in my way vale di più di un’assoluzione plenaria al giubileo, non solo ti senti assolto, ma rimpiangi tutte le cazzate che hai fatto nella tua vita…
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