follie d’autunno.
Il mio trench mi sta davvero bene. Riesce a separarmi dal resto del mondo con una cortina beige che mi consente di piombare in un ovattata old England, dove il gentiluomo non indossa magliette, non gonfia oltremodo il suo corpo ed occupa lo spazio delicatamente.
Il fresco ci consente di riassumere vesti signorili.
Con il caldo vengono fuori le belle ragazze, con il freddo si fa la cernita dei gentiluomini. Se d’estate una camicia la può indossare anche un bifolco privo di un qualsiasi gusto, d’inverno il maglione con il collo a V pesa sulla bilancia più della felpa fosse anche di Dolce&Gabbana.
L’adagio è vecchio, i soldi non fanno il signore, ma è una di quelle cose che oggi bisognerebbe avere ben chiaro, quando la moda è lanciata da orridi programmi pomeridiani popolati da figuri dai compensi sporpositati, che dimostrano quanto la classe sia demodè, quanto la fatica puzzi e quanto l’ignoranza vinca.
Li attendo tutti. Con pantaloni a vita bassissima, mutande che fanno capolino ed improponibili automobili dai colori alla moda -ora va il bianco- li voglio gustare quest’inverno i maniaci della griffe.
Per il resto il Sanfedista resiste, cerca di rimanere ancora un po’in una corrosissima torre d’avorio a rappresentare la minoranza silenziosa, aggiungerei "benedettamente silenziosa".
Siamo alla conclusione: non apparire per differenziarsi, un tempo era il contrario, un tempo un semplicissimo abito grigio non sarebbe stato dirompente come oggi, anzi era esattamente il contrario. Quando Fortunato Depero -geniale futurista e disegnatore della bottiglia Campari- lanciò i suoi gilet sgargianti si capì subito cosa doveva indossare il dandy; oggi ci si rifugia nel classico, non per snobbismo ma per noia da saturazione di esagerazione.
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