Di luce.
L’amore è la luce che fatta prisma colora.
Giovanni Battista Tiepolo
Donna con Tricorno, c. 1755/1760
Samuel H. Kress Collection
I miei polmoni staranno anelando un po’ di aria prealpina (quantomeno). Se il Tiepolo avesse fumato magari non avrebbe mai dipinto "La dama col tricorno", magari se Prince non avesse mai fumato non avrebba mai scritto "Purple Rain", io pur fumando non ho scritto pezzi di successo ma mi sto solo intossicando per una cosa che non va’, che mi costringe a pensare ed a ripensare a quest’ora in cui chi deve divertirsi lo sta facendo e chi deve dormire lo sta ancora facendo.
E mi riappare dolce la musica guascona della vecchia sigla di Lupin III, quella lievezza ammiccante e maliziosa con quella dissolvenza finale ripetuta…il mio cuore darò…il mio cuore darò…
La vita sarebbe ben meno bizzarra se tutti imparassimo un po’ di più a preoccupparci della realtà piuttosto che delle parole, eppure anche questo mi è stato imputato.
Ed in quest’incubo predomenicale fatto di poco garbo e di paletti da ricamare sull’erba, trovano spazio ammiccamenti di altre ed un conatico Malgioglio che canta "Pelame" versione ben più frocia della già frocissima "Sbucciami".
Ma penso al Tiepolo e alla faccia sua mi accendo una gauloises ripensando che magari una sigaretta (13ma) gliela avrei offerta io così avrebbe fatto meno il fenomeno con quell’enigmatico quadro e magari sarebbe uscito a divertirsi dando il giusto peso alla vita ed ai sentimenti che essa include…ma si, Gianbattì accendo io, tu scegli il cinema; no, "Ho voglia di te" no però, tanto valeva chiamare le pizze e guardarci il Bagaglino.
Quando mi lasciai andare al gin tonic offerto da un’hostess della Emirates realizzai che un piccolo grano di polvere aveva inceppato il mio meccanismo e che una svolta si era appena consumata. L’aria condizionata non mi scuciva il caldo che avevo lasciato a Dar Es Salaam, lo stesso gin, rimedio unico per i transcontinentali, non riusciva ad ottenebrare la mia mente abbastanza. Ovviamente c’era una lei, in realtà ce n’erano due. Una rappresentava i miei precedenti quattro anni, l’altra le mie precedenti due settimane. In amore spesso i giorni e gli anni si mescolano e i primi, in alcuni periodi della vita, pesano al bilancio più dei secondi.
Mentre l’aereo faceva il suo consueto lavoro, io riordinavo. Un safari, termine oramai ridicolo, una spiaggia bianca, stereotipo harmony, ed una notte di luna (letto questo siete autorizzati a smettere, ho raggiunto il fondo narrativo, ma la verità è stoicamente melensa in questo caso) furono la cornice; una donna più grande di me, abbastanza più grande, fu l’attrice. L’altra donna era in patria ad aspettare che io facessi ordine, forse non in questo modo.
La passione, la nuova, fu spinta sia dalla citata cornice sia dalla citata confusione; il riusltato fu, però, nè stucchevole nè confuso. Prima circospezione, poi sfacciataggine ed infine ritrosia. I soliti ingredienti. Vento, birre affricane e sigarette, ovviamente francesi, impastarono il tutto. L’altra attendeva, mi chiamava e iniziava a capire.
In aereo tiravo le somme intervallate dai ricordi del Plantation lodge, del Kilimangiaro e del Land Rover di mr.Francis, un nero sdentato e malarico, ma con un adorabile sorriso cinico stampato. Lei, in aereo con me ma tre file più dietro, forse aspettava un cambio posti che io non proposi. Si ragiona da soli. Capii che la persona seduta dietro era una tramite che il mio ego aveva apprestato per impormi una decisione, non era, ovviamente, la scelta della mia vita.
Atterrai a Roma, ci salutammo con la promessa di risentirci: avvenne. Ci furono notti al telefono ed un decadentissimo fine settimana al Grand Hotel Ritz di Roma -grandeur napoletana- fatto di albe insonni, di sigarette, di alcool e di tutte quelle cose a cui un gentiluomo in alcune situazioni non può sottrarsi. Ricordo solo che la suite era sempre avvolta dal silenzio, si viveva con lo stesso sforzo con cui una crisalide abbandona la sua forma per rendersi farfalla, ma sapendo, perlomeno io, che non avremmo mai cabrato, che non ci saremmo mai diffusi all’indolente vento primaverile.
Tutto questo fu fondamentale per la formazione della nuova immagine di me, finalmente modellata sulla profonda conoscenza delle mie esigenze. Passarono i giorni, il vecchio passò con essi, ed il nuovo si fece sommariamente vecchio. Potrei dilungrami su quello che avvenne con la lei dei miei quattro anni precedenti e non è detto che, prima o poi, non lo farò, ma non ora, dico solo che ci lasciammo.
Come dicevo i giorni passarono finchè:
Ero a casa ma fu l’Affrica a portarmi ad una nuova freschissima sera; la conobbi per caso, nella mia città. Sentii finalmente la schiena farsi ala e il silenzio infrangersi; era lei, era il regalo dell’antichissimo continente, era la conseguenza che cercavo da mesi…forse da anni…
Non so staccare il mio pensiero da te, ti ho sentita pochi istanti fa, eri a casa immersa nei tuoi stupidi programmi pomeridiani. Mi fanno male i pensieri tanto che pesano sul mio collo e la corsa è il privilegio di chi può avere tempo da guadagnare, il mio tempo è da perdere ed i secondi, immoti, mi dicono che dovrò strusciare tropppe ore prima di afferrare il tuo braccio. Non dovrei poter consentire al tempo di essere così crudele, mi possiede perchè mi lega a te nell’attesa. Ed ogni istante è appendice di un fotogramma lentissimo, fontana zampillante ghiaccio. Grondo di te.
Il sogno è il desiderio fatto bugia. Solo tre colori, potrebbero tingere d’immenso una vita. E noi continuiamo a rallegrarci del grigio e a Respirare, Respirare, Respirare, Respirare, Respirare…senza soffermarci, senza soffiare, senza sapere che in ogni respiro è celato un profumo…bizzarrie…