L’importanza della “o”
“O” è l’ultima lettera di Addio. Che poi noi italiani abbiamo un cattivo rapporto con addio. Gli spagnoli e i francesi no. Sarà che siamo figli del teatro, sarà che per noi l’addio è un “a mai più”, nel bene o nel male. Può essere sussurrato o urlato con rabbia sbattendo una porta. La sostanza non cambia. Magari cambiamo noi. L’addio infatti acquisisce un certo senso passato un po’di tempo. Quella semplice parola si rafforza con lo scorrere dei giorni e degli anni. Il tempo trascorso darà valore all’ultima lettera della parola. La “o”. L’ultima emissione che noi vorremmo rivolgere a qualcuno da cui ci vogliamo o dobbiamo separare. Le cause poi potrebbero essere infinite, ma oggi non ci riguardano. Ci fantasticheremo poi, ce ne convinceremo, o ce ne danneremo. Gli “eppure”, i “magari”, gli “un giorno”, i “forse poi”, sono tutti corollari alla “o”. Rimpianti e rimorsi, ricordi, rabbie, ripensamenti… le “r” figlie della “o”. Tonda e per questo finita, fosse una “l” di lontananza o di “lasciarsi” sarebbe tutto diverso, la “l” tende infatti in quanto linea immaginaria non chiude un bel nulla. La “o” di addio invece si porta dietro, girando su se stessa, un piccolo mondo. Un cosmo di cose finite, messe in un cassetto e chiuse.