fissate il carico…
Il nostromo puntò barra a dritta, mezzo giro, guardò il capitano e riconobbe quello sguardo. Il vento sferzava sulla murata e l’orizzonte, perso, era un tumulto di schiuma e grida. Nuvole spazzavano le cerate e il profumo del mare schiaffeggiava le vele ammainate. Il nostromo, saldo al timone come un’aquila ghermisce la lepre, guardò di nuovo il sorriso del comandante, che nella notte fissava dritto verso la tempesta. Fermo, immoto, come la polena di prua, sbavava l’acqua che si insinuava nello spazio aperto dal sorriso.
"Fissate il carico, che stanotte il mare ci ammazza, che stanotte il giovane sarà uomo, l’uomo d’improvviso vecchio. Liberate il sartiame, che si va a crepare, che si entra dritti nella pancia del mare e se così domattina non sarà, significa che l’inferno non ha ancora voglia di noi. Significa che il giorno che viene avrà fatti più spessi i ginocchi, che il primo sorso dell’aria sarà vivere, non respirare"
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