il filo, la caverna, la primavera,
ogni tanto provo a illuminare il buio della grotta
cadenzo la torcia, accesa/spenta, accesa/spenta
ad immitar l’sos che vidi una volta in un film di guerra.
Sono qui con l’estremo della corda in mano, il mio estremo
e di tanto in tanto lancio un urlo dentro
nulla; ribolle solo il vento che inarca la spelonca.
Comincia a piovere ed io fuori strattono un po’ la fune,
impaziente, che di te non ho più senso
la mia Arianna. Non ricordo nemmeno quando entrasti,
se era giorno, notte, estate o inverno, forse autunno.
ma mi dicesti tieni stretto questo, è il filo, il nostro.
Ed io con il filo in mano temo sempre di più sia solo mio
ma non lo lascio e vado via, fosse anche che aspetto solo buio
che da dentro non esce.
e tu magari sei sbucata all’altro capo abbandonando il cavo
ti sei gettata nella primavera. Oppure no e già da ora stai invertendo il passo.
Io non lo so e nel dubbio, che è la ragione nella speranza, continuo fermo
e, intanto, mi riparo dalla pioggia.
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