Stavo parlando con Angelo.
Si pensava a quanto sia alla fine felice una serena decrescita. Un rinunciare un po’ per avere molto di più. Questi giorni di vacanza li ho trascorsi in montagna. Ho conosciuto un mio coetaneo. Laureato in agraria, fa l’apicultore. Mi raccontava che la sua ultima memoria di stress risaliva all’università. Ora non ne ha più. Si sveglia la mattina percorre 4/5 km e raggiunge le sue api. Ripara le arnie, raccoglie propoli, miele e polline. Mi diceva che torna la sera a casa stanco. Ma stanco fisicamente. Ed è contento. E io penso che noi abbiamo forse perso molto di quello che ci rende felici. Il beagle, il cane, è selezionato per la caccia alla volpe. Un mio amico ne prese uno. Dopo poco gli distrusse casa, rosicchiando i mobili, i divani, le tende e le poltrone. Non era colpa del cane. Semplicemente il beagle deve cacciare di tanto in tanto una volpe. Non essendoci volpi ne brughiere su cui correre, si sfogava così.
Noi siamo ora oggetti che rispondono ad esigenze. I professionisti, chi lavora in azienda, chi lavora con il “cervello” deve rispondere a un bisogno, a una sollecitazione, nel minor tempo possibile. Mettendo a fuoco solo un problema specifico e dando la migliore soluzione per esso. Il nostro cono visivo è drammaticamente limitato. Ridottissimo. Ci concentriamo solo su una minima problematica specificando il nostro sforzo a una piccola porzione. A domanda rispondiamo, siamo recettivi (o proattivi come ama dire qualcuno come vanto) e basta. Corriamo per arrivare dove? Col nostro lavoro ci circondiamo di oggetti inutili. La mia camera è un monumento alla inutilità, ho accumulato suppellettili e beni di cui obiettivamente non mi giovo se non nel compiacimento di averli. Poca roba davvero.
Anche la speculazione in questo momento si è fatta strana. Non ragioniamo più liberamente sui massimi sistemi. Non riflettiamo più sull’ampio, su ciò in cui siamo immersi. Noi siamo così introflessi che le volte in cui ragioniamo, le volte in cui ci fermiamo a riflettere lo facciamo su noi stessi. Questo 9 su 10 finisce irrimediabilmente per cagionarci ansia. Oggi quando ci fermiamo a riflettere, finiamo solo per acuire la nostra ansia, il nostro malessere. Perchè amplifichiamo smodatamente il nostro io, che in qualche modo non ci piacerà e quindi usciremo dalla riflessione più stanchi e tristi. Eviteremo allora al massimo di riflettere. Tutto ciò accade perchè non guardiamo oltre nelle nostre elucubrazioni. Nessuno si concentra più sulla bellezza del creato, sull’armonia delle forme. Sulla singola goccia di pioggia oltre la sua fisicità atmosferica. Chi pensa alla perfezione e all’equilibrio che ci sono nel mondo. Finiamo per catalogarle rapidamente come “robe hippy o new age” ed invece sarebbero proprio quelli i pensieri che potrebbero farci risintonizzare. Aprire una finestra e guardarci fuori è sempre meglio che esplorare una cantina.