L’assuefazione alla mediocrità
Riusciamo sempre ad assuefarci alla mediocrità. Diamo per scontato che i giorni debbano necessariamente seguirsi come stanze “enfilade”, senza però la visione sfarzosa dell’architettura barocca. Superiamo le ore passandoci in mezzo, una teoria ininterrotta di domino. Ed intanto il tempo trascorre. Spendiamo le nostre energie in progetti in cui non crediamo e andiamo in apnea per svariati motivi contando i minuti che ci distanziano dal riprendere il respiro. Viviamo giorni con gli occhi serrati, come i bambini durante i temporali e li riapriamo nei week end. Non apparteniamo a nessuna ideologia, rischiamo di non appartenere più a nessun tempo. Io patisco il peso della scarsa cultura di chi mi dirige, del “capufficio” se ancora esistessero contratti del genere…
Quasi sempre governa – dal parlamento all’ultimo degli impieghi – chi in silenzio obbedisce e risolve velocemente le richieste, in maniera rapida, asettica, proattiva. Prevenire rapidamente i problemi è la via preferibile in tutto eppure gran parte della nostra civiltà si è costituita speculando sulle problematiche, inventandone anche di nuove per un puro esercizio filosofico. Era la palestra dell’ingegno. Si allenava il pensiero nella risoluzione dei problemi, si discuteva e ci si osservava nel farlo. Konrad Lorentz diceva che “la vita cerca problemi e l’offerta di problemi è significativa per il successo; una mancanza di problemi può provocare una stagnazione”, ma anche Abelardo “il porsi costantemente dei problemi sta alla base della saggezza. Poiché attraverso il dubbio siamo portati all’indagine, e attraverso l’indagine arriviamo alla verità.” Ma anche l’antico motto che diceva che un problema è solo un’opportunità che ti concede la vita di fare meglio.
I gretti detentori del potere non desiderano i problemi, li temono perché vedono nel problema l’errore e nell’errore il fallimento. Ma io ritengo che il fallimento sia già vivere una vita che annulla le potenzialità dell’intelletto, che crea modelli da seguire per situazioni standard, che limita la comunicazione a moduli di “domande e risposte”. E’ la mentalità della piccola borghesia. Puoi amministrare un capitale, guidare una Aston Martin, ma la puzza della piccola borghesia non te la lavi via. L’esser cauti, o peggio l’esser fintamente intrepidi, il guardare attentamente, il giustificare necessariamente un documento, come se l’irregolarità fosse un segno di disordine diabolico sono mali letali per il progresso della razza. L’essere piccoli borghesi è ben peggio che essere poveri. Il povero s’industria, il povero se delinque lo fa fisicamente, in prima persona, sentendo sotto le falangi immediatamente la carta dei soldi. Il povero non evade, semplicemente non dichiara, e soprattutto truffa senza il monitor davanti agli occhi. Il povero, ruba, zappa, pialla, salda, trasporta, vende piccoli oggetti al dettaglio, lava, stira, beve e picchia. Il piccolo borghese non fa quasi nulla di tutto ciò e se lo fa lo giustifica come hobby, come lavoretto, come disturbo psicologico cercando comunque di prenderne le distanze. Il piccolo borghese fa sempre la cosa più intelligente e sempre la spesa mirata, provando un brivido quando compra qualcosa di non previsto fosse anche un formaggio non in offerta. Io provo un brivido di noia quando mi rendo conto di aver comprato solo cose utili.
Dalla piccola borghesia è difficilissimo affrancarsi. E’ un’operazione disperata, bisogna accumulare diottrie sui libri, ammirare arte sconosciuta e dire no di tanto in tanto a chi rappresenta l’autorità. Il piccolo borghese deve arrivare un giorno a rendersi conto di quanto la sua esistenza sia mediocre, sbagliata e priva di qualsivoglia valore. Questo è il primo passo. Non sono così ingenuo da pensare che sia possibile un mondo di persone che sterzano all’ultimo, con stridore di gomme e sobbalzi in abitacolo, ma guardatevi state davvero iniziando a camminare tutti con climatizzatore acceso, cambio automatico e controllo della velocità.
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