Il sanfedista nonostante il blasone è costretto a prendere i mezzi pubblici. Ogni tanto l’intervalla a taxi, come per interrompere una terapia e svuotare la misura.
Il 714 è un carnevale. Una roulette russa. Una terza classe del Titanic appena sbarcata nel suk di Tunisi. E’ un posto splendido. I mezzi però sono vetusti, traballanti, rumorosi e si rompono. Superare la circonvallazione ostiense, venendo dalla Cristoforo Colombo, è di fatto come uscire dalle colonne d’Ercole, se prima il percorso era sicuro, dopo, il mezzo logoro dai chilometri macinati dal capolinea del basso EUR, inizia a perdere inevitabilmente i colpi. Alle volte ce la fa, a fatica chiude e apre un paio di volte le porte, come per incamerare più aria o darsi coraggio e riparte. Oggi ha tirato il suo ultimo rantolo meccanico esattamente sopra le terme di Caracalla. Ore 18.54. Per me l’uscita dall’ufficio alle 18 è un diritto inalienabile. Oggi a causa di lavori inutili ed avvilenti per chi come me ha grandi capacità, trattavasi di redigere lettera di ringraziamento a politici da parte del mio AD, sono dovuto permanere di più alla scrivania.
Sceso con la velocità di una lucertola mi sono visto sfilare un 714 davanti agli occhi. Ho preso il successivo erodendo ben 12 minuti al mio tempo. Preziosissimo.
Il mezzo sin da subito non dava grandi garanzie. Chi li usa spesso dai primi metri riesce a distinguere se il bus ce la farà o no. Il presentimento era nefasto. Le marce ingranavano male ed ogni tanto si spegneva e riaccendeva l’obliteratrice, pessimo segno.
Dicevamo, per tirarla breve, che superata la fermata di circonvallazione ostiense, che divide i cauti dagli audaci, il pulmann si pianta. Fermo, secco, inerme come un pezzo di Lego.
Si aprono le porte scendono tutti e colgo bestemmie in tutte le lingue, perchè è il tono che fa la bestemmia. Subito dietro un 671, per me assolutamente inutile, che però raccoglie gran parte dei passeggeri naufragati diretti magari alla metro Re di Roma.
Rimaniamo in 9. Un sacerdote, due studenti, extracomunitari vari, un professionista ed un osservatore. Io.
Ci saranno stati 20 gradi, un sole obliquo che scompariva lento dietro il colle. Un po’ di vento che brividiva leggermente i capelli. Un fruscio di auto di passaggio ordinato ed un silenzio estivo. Il primo silenzio estivo dell’anno. Ho sorriso e con un occhio ho guardato la circonvallazione ostiense, con l’altro mi sono spinto immaginariamente fino a Porta Metronia. Ho guardato di nuovo il sole all’occidente che s’intravedeva ormai tra le fronde delle piante esotiche di un vivaio che fa angolo e mi sono sentito felice. Una felicità piena, senza invidia per nessun altro.
Una felicità completa. Sono stato felice di essere felice di innamorarmi ancora delle piccole felicità che la vita ti nasconde sotto minutissime pieghe. Quelle felicità che ti danno la consapevolezza che nulla è davvero mai perduto, che tutto si può ricostruire, che non esistono obblighi, che noi siamo padroni della nostra vita perché noi respiriamo con i nostri polmoni e se i programmi erano diversi la vità prima o poi cambierà corso e si adeguerà alle nostre scelte. Un 714 si romperà ovunque nel mondo e qualcuno si risintonizzerà su se stesso in maniera imprevista.